I Benetton, gli Agnelli, i Berlusconi: tre dinasty italiane (forse le prime tre fra quelle vive nel 2024). Tre storie diverse, tutte dense e complesse. Tutte già molto raccontate ma ancora costantemente sulla ribalta della cronaca: anche negli ultimi sette giorni.

La famiglia Benetton ha annunciato perdite importanti e inattese nella capogruppo storica, che opera tuttora nel fashion esponendo il nome di famiglia come brand. L’89enne Luciano Benetton ha deciso di farsi da parte, non senza accuse di “tradimento” al management. Alla Benetton Group – che sarà ricapitalizzata dalla holding Edizione – è stato chiamato un nuovo manager dall’esterno con l’incarico della ristrutturazione. I Benetton sono reduci da un infortunio molto più grave sul piano della reputazione: il crollo del Ponte Morandi di Genova, che li ha obbligati a disfarsi delle Autostrade, privatizzate a Ponzano nel 1999 e poi ripubblicizzata – comunque a prezzo miliardario – da una cordata pilotata dalla Cdp.



John Elkann, Presidente di Exor e di Stellantis, ha rilasciato un’intervista che ha destato sensazione. Il nipote di Gianni Agnelli ha accusato di violenze fisiche e psicologiche la madre Margherita, che da molti anni è in lite legale con i tre figli di primo letto per gli sviluppi della successione dell’Avvocato. Su di quest’ultima, recentemente, si sono accesi anche i fari della Procura di Torino: interessata fra l’altro a possibili violazioni di carattere fiscale, anche per il ruolo recitato da Marella Agnelli, vedova dell’Avvocato. Nell’intervista ad Avvenire, “Yaki” non ha mancato di affrontare un altro fronte critico, sul versante industriale: rinnovando le sollecitazioni al Governo italiano, finora esitante nel concedere sussidi statali “verdi” a Stellantis, senza garanzie che essi sosterranno attività ex Fiat in Italia.



Venerdì scorso, infine, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha incluso Marina Berlusconi fra i 25 nuovi Cavalieri del lavoro. Si tratta del titolo che il padre Silvio si aveva meritato quasi mezzo secolo fa, divenendo poi il “Cavaliere” quasi per antonomasia fra mercati e politica. Marina – che presiede la storica holding di famiglia Fininvest cui fanno capo Mediaset, Mondadori e una quota di Mediolanum – ha ereditato il cavalierato nel primo anniversario della scomparsa del padre. Una qualifica in nulla eccepibile, considerato che la primogenita di Berlusconi era già da molti anni la “numero uno quotidiana” del Biscione: raccordo tutt’altro che formale fra il padre, i 4 fratelli e i manager operativi del gruppo.



Non è mancato tuttavia chi ha colto nel passo di Mattarella – fra l’altro a pochi giorni dall’eurovoto – profili articolati: non da ultimo la volontà di mantenere fluidi i rapporti fra il Quirinale e la famiglia Berlusconi, cui resta il controllo di metà del duopolio televisivo e (nei fatti) di uno fra i tre partiti della maggioranza del Governo Meloni. Sebbene il titolo di cavaliere del lavoro non equivalga a quello di Senatore (con il quale Berlusconi è morto in carica) la nuova “Cavaliera” sembra tendere all’eredità di ciò che per un trentennio è stato bollato nel padre come conflitto d’interesse, all’interno di una regulation nazionale sui media che l’Ue chiede da tempo di riformare.

Se si può individuare un “contesto” in cui affiancare tre storie molto diverse – ma singolarmente coincidenti nel timing – sembra il rapporto fra Stato ed economia privata: che in Italia è sempre stato strutturale. Lo è stato e lo rimane per l’antica Fabbrica Italiana Automobili Torino, nata ancora alla fine del diciannovesimo secolo, e per la famiglia Agnelli nell’arco di cinque generazioni. È stato ed è così per i ben più giovani campioni di un nuovo capitalismo industriale e finanziario, emersi a Nordest a dopoguerra già avanzato. Lo è stato e lo resta a maggior ragione per l’avventura – apparentemente irriducibile – di Silvio Berlusconi.

In un passaggio molto complesso per l’intero sistema-Paese potrà essere utile tenere d’occhio le tre dinasty in parallelo.

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