Il weekend lungo della finanza americana, che in pratica ha chiuso i battenti a metà settimana per la festa del Ringraziamento (e per il Black Friday), offre l’occasione per fare il punto sui nuovi equilibri dei mercati dopo le novità di un novembre spettacolare per le Borse, salite in media del 20% (Milano anche di più) grazie a una serie di novità epocali.



Dopo l’annuncio di Pfizer/BioNTech si sono moltiplicati gli annunci sulla scoperta dei vaccini e sui loro tempi di introduzione sui mercati. La percezione dei mercati, dopo l’entusiasmo iniziale, è che la riscossa contro il Covid -19 prenderà velocità tra qualche mese, attorno a metà anno, purché non si commettano errori marchiani. Nel breve termine, intanto, le economie sono di nuovo in recessione, in particolare in Europa, e sono destinate, a parte la tregua natalizia, a rimanere semichiuse almeno fino a fine gennaio. I mercati gettano il cuore oltre l’ostacolo ed è giusto che sia così. Ma è importante tenere a mente che la fase di transizione sarà lunga.



Per queste ragioni, le politiche fiscali e monetarie rimarranno ultra-espansive per almeno un anno anche se il virus venisse debellato in poche settimane. Né va trascurata l’importanza della coda elettorale Usa. Gli elettori della Georgia, nel decidere il 5 gennaio quali senatori mandare a Washington, decideranno se l’espansione sarà più sul piano fiscale (come avverrà se il Senato passerà ai democratici) o su quello monetario (come avverrà se il Senato rimarrà repubblicano). In ogni caso, se la Fed, come è certo, compenserà il minore stimolo con un nuovo Quantitative easing con la Yellen al Tesoro, si completerà il processo di fusione tra banca centrale e Tesoro, e la rotta non potrà che essere espansiva.



Superato un mese rovente, gli Usa sono ormai avviati al cambio di guardia alla Casa Bianca. Non tanto sul piano della politica monetaria, bensì per un vero e proprio terremoto che sta sconvolgendo gli equilibri geopolitici: basta sovranismo, basta guerra sui dazi. La partita con Pechino si giocherà su altri terreni. In questa cornice si è già esaurita la fuga dai mercati emergenti (90 miliardi di dollari da marzo a ottobre) e si è innescato il ritorno ai Paesi strategici per le materie prime. Esemplare, al proposito, quel che è successo in settimana sul Perù, una delle economie chiave per le forniture di rame. La banca centrale peruviana è riuscita a collocare un bond a cento anni all’1,7% andato esaurito in poche ore. Un risultato stupefacente se si pensa che il Paese ha cambiato tre Presidenti in pochi mesi e promette nuova turbolenza in attesa delle elezioni nel 2021. Ma di fronte alla necessità di recuperare posizioni in vista della ripresa post-pandemia la stabilità politica non conta. Basti l’esempio della Borsa della Thailandia, ai massimi di sempre nonostante il braccio di ferro sulla monarchia. Ma è anche il caso del Brasile, in pieno rally nonostante le difficoltà di Bolsonaro.

Vista dall’angolazione del mercato, insomma, si profila una ripresa del commercio globale, grazie a un cambiamento nelle relazioni Usa-Cina, e un migliore scenario commerciale per i settori che dipendono da catene produttive e logistiche complesse (come il Messico, già nel mirino di Trump). Tutto questo, assieme al vaccino, dovrebbe favorire una forte ripresa delle economie emergenti e delle loro valute. A partire dallo yuan cinese e dal won coreano. Ma non sono da escludere puntate verso l’Africa, seguendo i consigli di Charles Robertson di Renaissance Capital che non disdegna acquisti in Kenya, Ghana, Nigeria e Angola, terre per operatori che amano emozioni forti.

In questa fase di mercato, caratterizzata dal rientro dei capitali occidentali verso gli emergenti – è il suggerimento del gestore riportato dal Financial Times – è bene puntare sui Paesi a rischio, dal basso rating e dalla liquidità modesta, perché “l’umore del mercati è cambiato”. “Fino a ottobre – spiega – a dominare le attenzioni erano i titoli del Nasdaq, molto cari ma con una forte esposizione sul digitale, adatti al lavoro a distanza. Oggi sono stati riscoperti i settori tradizionali”.

Come si colloca l’Italia in tutto questo? Il quadro è sostanzialmente positivo anche grazie a condizioni finanziarie del tutto eccezionali che non possono durare all’infinito. La crisi del sovranismo permette di sperare in una ripresa dell’export, la componente più dinamica dell’economia che potrebbe trarre vantaggio dalla riapertura dei mercati. Ma la concorrenza sarà feroce, soprattutto sui mercati asiatici. Inoltre, la fine del rischio di guerra commerciale con gli Usa può spingere la Germania ad accantonare i programmi europei più ambiziosi, specie se nel Bel Paese si continuerà a portare avanti una politica di piccolo cabotaggio, a caccia solo di benefici effimeri senza una visione comune e un orizzonte di adeguato respiro. L’occasione è propizia, cerchiamo una volta tanto di non sprecarla