Il Corriere della Sera è stato molto freddo nel commento immediato alla nascita del Partito di Renzi. Comprensibile la reazione strettamente editoriale: era noto fin da lunedì che l’ex premier aveva scelto Repubblica per annunciare il suo addio al Pd. Ma è difficile ipotizzare che la spiegazione stia tutta nella competizione fra grandi testate. Quando il column si spinge a definire “tattica disperata” la decisione di Renzi, sembrano trasparire ansie e malumori più profondi.
Emerge in filigrana la preoccupazione del Quirinale, che ha sempre avuto nel quotidiano di via Solferino il suo interprete più puntuale. Il partito di Renzi non è certo il primo colpo – in meno di due settimane – al “lodo Mattarella” che ha sostenuto la nascita del Conte 2, ma allunga certamente un’ombra ulteriore e netta sulla prospettiva annunciata di un “esecutivo di legislatura”, forte di una stabile maggioranza parlamentare.
Non sfugge, peraltro, anche la probabile contrarietà dell’editore del Corriere. Urbano Cairo aveva colto proprio la crisi d’agosto per dare consistenza pubblica alle sue riflessioni circa una possibile “discesa in campo” nella transizione politica italiana. E non da oggi è evidente a tutti gli analisti che il potenziale bacino elettorale del “partito di Cairo” è lo stesso del neonato partito di Renzi. Anzi: Cairo più di Renzi sembrava avanzare una sorta di diritto successorio sull’eredità politica di Silvio Berlusconi, in possibile parallelo con il riassetto della media industry nazionale. Ora lo strappo del partner dell’originario “patto del Nazareno” con il Cavaliere sembra insidiare in modo diretto questa ambizione: come del resto quelle di Carlo Calenda o di altri candidati “ricostruttori del centro”.
Ad ogni buon conto: i “corrieristi” moderati o liberal del centro di Milano che nel 2018 hanno trovato nel voto a +Europa la chiave della “resistenza interna” nella Lombardia salviniana, oggi preferiranno il Pd “grillino” del Conte 2 (ma #senzaRenzi e anche #senzaBonino…) oppure scommetteranno sullo sviluppo del partito di Renzi? È una questione che – probabilmente – si sta ponendo in queste ore il sindaco Pd di Milano, Beppe Sala.
Non sarà in ogni caso banale seguire le reazioni progressive dell’arcipelago-Corriere anche a livello proprietario: dove Intesa Sanpaolo resta la detentrice del debito senior con cui Cairo ha finanziato l’Opa del 2016 su Rcs. Tre anni fa il Corriere trovò una sua nuova stabilità editoriale in un contesto di Borsa fra grandi banche milanesi, all’apice tutt’altro che simbolico dell’era Renzi 1. Mediobanca – inizialmente a fianco del finanziere Andrea Bonomi in una contro-Opa – cedette infine il passo al progetto Cairo sponsorizzato da Intesa. Sembrò il suggello di una progressiva “non-comunicazione” fra Renzi e Mediobanca e di una definitiva consacrazione del Ceo di Intesa Carlo Messina come “banchiere di riferimento” del premier-segretario Pd (sempre distante, invece, da UniCredit: poi divenuto addirittura ring della querelle fra l’ex ministro Maria Elena Boschi e l’ex direttore del Corriere, Ferruccio de Bortoli).
Messina aveva concretamente testimoniato il suo ruolo di regista renziano nella gestione delle crisi bancarie (Etruria&C e poi Popolari venete). Tanto che non sorprese il successivo lancio di un’offerta non concordata di Intesa sulle Generali, storico e residuo gioiello di famiglia di Mediobanca. L’operazione sfumò principalmente per le dimissioni imposte a Renzi dalla sconfitta nel referendum 2016. Da allora, in ogni caso, Mediobanca e Generali sono rimaste immobili su ogni scacchiere, interno e internazionale.
Il feeling di allora fra Palazzo Chigi e Intesa risultava d’altronde evidente anche al livello proprietario. È stata la Fondazione Cariplo di Giuseppe Guzzetti – ex senatore della sinistra Dc – a promuovere a tamburo battente il fondo Atlante, tampone iniziale alla crisi delle Popolari venete. È stato Guzzetti a concordare personalmente con Renzi nel 2015 la presidenza triennale di Claudio Costamagna alla Cdp. Dopo l’avvento della maggioranza gialloverde è stato ancora Guzzetti – che ha lasciato solo da pochi mesi le presidenze di Cariplo Acri – a lanciare allarmi ripetuti sulla tenuta democratica del Paese. E non ha certo stupito una sua nuova presa di posizione all’inizio della crisi di agosto: in un’intervista a due voci su Famiglia Cristiana, in tandem con il presidente emerito di Intesa, Giovanni Bazoli.
Guzzetti – tuttora indicato come candidato senatore a vita, in cima alla lista del presidente Mattarella – non è il solo esponente di primo piano dell’establishment milanese (“corrierista” in senso lato) chiamato ora a fare i conti con la scissione del Pd. Anzi: saranno probabilmente i segnali che proverranno da personaggi-istituzione come Guzzetti che forniranno indicazioni sulle reali chance di successo del Renzi 2.