Un collocamento meno che miliardario – come quello annunciato dal Mef sul 12,5% di Mps – è passato relativamente inosservato sul mercato: a dispetto di alcuni “valori aggiunti” non strettamente monetari che non vale invece la pena di trascurare.

Il primo attiene certamente la finanza pubblica e va a confermare la volontà del Governo di procedere con le operazioni di privatizzazione prospettate: soprattutto in direzione di Bruxelles, dove l’Italia resta osservata speciale allorché i parametri di stabilità sono tornati in azione e la prossima commissione Ue chiamerà prevedibilmente anche Roma a impegnarsi su un percorso di rientro graduale del debito. In sé l’effetto-annuncio su Mps – il secondo dopo il piazzamento del 20% lo scorso novembre – sembra voler anzitutto ribadire che fra palazzo Chigi e via XX settembre non esistono ripensamenti sulle tappe più strategiche sfidanti messe in agenda: una nuova tranche di Poste Italiane e – in un periodo medio – l’apertura del capitale delle FS. Ieri il ministro Giancarlo Giorgetti non è dovuto ricorrere a giri di parole: salvo ventilare l’ipotesi che lo Stato si mantenga temporaneamente sopra il 51% nelle Poste.



Il secondo segnale è simmetrico: quando il Tesoro italiano è tornato ad affacciarsi sul mercato con un’offerta di azioni (di una banca in convalescenza) la risposta è stata nettamente positiva, così come in occasione delle recenti aste a raffica di titoli governativi. Se lo spread parla chiaramente in favore di un rischio-Italia sotto controllo, anche Piazza Affari ha visto una ricaduta concreta di un rally fra i migliori in Europa. E per la seconda volta in pochi mesi la City e Wall Street hanno fatto da sponda al Tesoro italiano in azione sul terreno delle privatizzazioni.



La terza indicazione – quella forse meno facile da articolare – concerne invece le prospettive di riassetto del sistema bancario nazionale. E Mps – finora una sorta di fardello-vincolo – sembra potersi trasformare in un problema auto-risolvibile, se non addirittura in un’opportunità. Dopo l’ultimo collocamento Mps è una banca contendibile. Lo Stato, con un residuo 26% ne è ancora azionista-guida, ma il significato di questo livello d’impegno pare con tutta evidenza opposto a quello analogo in Eni o Enel. Bei due colossi energetici sono investimenti di presidio pubblico/nazionale, mentre in Mps non è affatto certo che se su Siena arrivasse un’offerta lo Stato opporrebbe resistenza preventiva. Sicuramente aderirebbe in caso di una proposta di aggregazione che giungesse dall’Italia (con agevole possibilità di “sterilizzare” la residua quota statale in un gruppo più grande); non è da escludere neppure il favore per un’operazione internazionale in uno scacchiere geopolitico in rapida ricomposizione.



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