E così ci siamo. Quella che un paio di anni fa sembrava una previsione azzardata, ora l’abbiamo servita in pompa magna da una presidenza della Repubblica che ammette che la via maestra sarebbero le elezioni, però… non le avremo.
Lo si era capito, per la provenienza politica di Mattarella (Pd, prima che fosse eletto alla Corte Costituzionale) e per la costante prevalenza nei sondaggi della Lega. Lo si era capito chiaramente anche quando Salvini si dimise e abbandonò il Governo nell’estate 2019, favorendo la nascita di un esecutivo malmesso nella coesione sulle cose da fare. Insomma, ha sempre fatto di tutto per non tornare alle urne e non permettere l’elezione del prossimo presidente della Repubblica con un parlamento con maggioranza di centrodestra.
L’avevo previsto in qualche modo, nel maggio 2019, con un articolo pubblicato qui. Avevo intuito che il governo Lega-M5S non avrebbe superato l’estate e invece ho sbagliato a sottostimare l’attaccamento alla poltrona di tanti parlamentari. Questo attaccamento e i “superiori” interessi europei hanno invece prodotto l’appoggio (anche internazionale) necessario al governo Conte-2. Bollito anche questo esecutivo (pure per la disastrosa gestione dell’emergenza sanitaria), è arrivato il momento di Draghi.
Tante sono le volte che ho criticato l’azione di Draghi in questi anni, incluse alcune sue capriole per tentare di salvare quel progetto fallito che si chiama euro. Un progetto fallito perché era quello che doveva portare progresso, crescita, sviluppo, coesione. Fallito in tutti i campi, soprattutto quello della coesione o della solidarietà dei Paesi europei. Per non parlare della sussidiarietà, inserita persino tra i capisaldi dell’Ue ma rimasta lettera morta.
E che dire del passaggio più celebre e celebrato di Draghi, quando nel 2012 “salvò l’euro”? Già il fatto che l’euro abbia avuto bisogno di essere salvato la dice lunga sulla solidità della moneta unica. E poi cosa fece di tanto clamoroso? Niente di che, una conferenza stampa, durante la quale disse “faremo di tutto per salvare l’euro e credetemi, sarà abbastanza”. Che spavalderia! Che impeto! Beh, a dir la verità non è che ci vuole molto: come hanno affermato alcuni tra i maggiori economisti e come ha confermato anche l’attuale Governatore Lagarde, una banca centrale non può fallire sulla propria moneta, se serve al limite ne stampa quanta ne serve.
E poi a quella frase manca un passaggio fondamentale, chissà perché mai riportato nella traduzione italiana: “whatever it takes”, ricordate? Che si può tradurre con “costi quello che costi”. E già questo, come ho notato altre volte, lascia in sospeso una domanda non secondaria. “Costi” a chi? Chi pagherà il costo per la salvezza dell’euro? Draghi non l’ha mai chiarito ma non è che volesse il premio Nobel per capirlo e tanti imprenditori italiani lo hanno capito benissimo. Hanno pagato loro, come hanno pagato tantissimi dipendenti pubblici (medici, infermieri, insegnanti, poliziotti, ecc.), costretti senza risorse materiali e con scarsità di risorse umane a fare straordinari e salti mortali per un tozzo di pane.
Ho accennato alle capriole di Draghi. Due in particolare quelle che mi sono rimaste più impresse. La prima è quella che fece nel suo discorso del 2014 all’Università di Helsinki. Il suo discorso inizia col botto: “Un comune equivoco sull’Unione europea – e sull’area dell’euro – scaturisce dal fatto che si tratta di un’unione economica senza un’unione politica alla base. Ciò riflette un profondo fraintendimento su cosa significhi ‘unione economica’: per sua natura è un’unione politica”. Con questa osservazione banale, Draghi polverizza uno dei capisaldi del libero mercato e dell’indipendenza delle banche centrali, soprattutto dalla politica. Sono almeno trent’anni che ci ripetono come un mantra che in realtà le banche centrali fanno vera politica, quando fanno politica monetaria. Negarlo è come negare che l’acqua sia bagnata.
E poi il punto cruciale: “L’euro è – e deve essere – irrevocabile in tutti gli Stati membri che l’hanno adottato, non solo perché è scritto nei trattati, ma perché senza irrevocabilità non può esistere una moneta realmente unica”. Ma la verità è l’esatto contrario: nessuno può impedire a un Paese della zona Euro di invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona e uscire dall’Europa, come ha fatto la Gran Bretagna (che però aveva ancora la sua moneta); a quel punto l’uscita anche dalla moneta unica sarebbe una conseguenza tecnica irrimediabile. E siccome dalla moneta unica si può uscire, la conseguenza logica del ragionamento di Draghi è che la moneta unica non esiste!
L’altra capriola che mi è rimasta impressa è quella che fece davanti alla domanda di un parlamentare olandese. Correva il maggio 2017 e Draghi in gennaio aveva risposto a due parlamentari italiani sull’ipotesi dell’uscita dall’euro dell’Italia (quindi è possibile?) affermando che nel caso sarebbe stato necessario ripagare il Target2, che per l’Italia prevedeva (allora) un costo di circa 350 miliardi. Facendo riferimento a quella risposta, un parlamentare olandese accennò al crescente desiderio dei cittadini olandesi di uscire dall’euro e visto che per l’Olanda il Target2 prevedeva un attivo di circa 100 miliardi, il parlamentare olandese chiese se a quel punto si poteva prevedere un incasso per l’Olanda, in caso di uscita dall’euro di 100 miliardi.
Draghi di fatto non rispose nel merito, dicendo che “l’euro è irrevocabile” e che l’Olanda aveva avuto un sacco di benefici dalla moneta unica. Insomma, non disse “sì, prenderete 100 miliardi”. Il che pone la grave questione: se anche noi pagassimo 350 miliardi (o i 450 di oggi), questi soldi a chi finirebbero? E se non finiscono ai Paesi che hanno un bilancio Target2 positivo, ci rendiamo conto della situazione surreale? Se hai un bilancio negativo, devi pagare come fosse un prestito (ed è in realtà un prestito, anche se senza scadenza e senza interessi); se invece hai un bilancio Target2 positivo, non becchi nulla. Assurdo, no?
Qualcuno dirà: ma oggettivamente Draghi ha salvato l’euro, grazie alla sua azione di Quantitative easing (denaro a fiumi) per sostenere un sistema bancario e finanziario in gravi difficoltà. La mia risposta è: no; Draghi ha salvato il sistema bancario e finanziario perché altrimenti l’euro sarebbe già sparito e lui sarebbe disoccupato. Ma ha fallito completamente, come i suoi predecessori, l’unico obbiettivo che la Bce ha: avere un’inflazione a un livello inferiore e prossimo al 2%. Ha fatto l’impossibile, ha fatto i salti mortali, ma ha fallito l’obiettivo: questo è l’unico dato oggettivo. Governatore della Banca d’Italia dal 2005 al 2011 e Governatore della Bce dal 2011 al 2019, ha lasciato un Paese e un continente impoveriti e stremati dalla crisi e un sistema bancario che non ha risolto nessuna delle sue criticità.
Questo è il personaggio che si appresta a governare l’Italia. Certo, quando andrà a parlare a livello europeo con gli altri Paesi o con i Commissari europei, potrà guardagli dritto negli occhi senza tentennamenti, se non addirittura dall’alto in basso. Ma non mi aspetto grandi vantaggi da questa situazione, soprattutto se si avvarrà di questo suo carisma per attuare meglio il piano di distruzione dell’economia italiana e di saccheggio da parte delle forze finanziarie internazionali. Questo è quello che ha fatto, nella svendita delle maggiori imprese statali quando lavorava presso il ministero del Tesoro negli anni ’90. Perché ora dovremmo aspettarci qualcosa di diverso?
—- —- —- —-
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.