I grandi d’Europa si sono dati appuntamento a Francoforte per salutare il più grande di tutti, Mario Draghi, che lasciava la presidenza della Banca centrale dopo otto anni di servizio intensi e speciali. Nei discorsi di chi ha preso pubblicamente la parola – Angela Merkel, Emmanuel Macron, Sergio Mattarella, Christine Lagarde – il ricordo grato della formula magica che ha salvato l’euro e l’Unione nel loro momento più buio e che consegnerà alla storia l’esperienza all’Eurotower del banchiere italiano.



Faremo whatever it takes, promise Draghi: faremo tutto il necessario per fronteggiare l’attacco di chi voglia speculare sulla debolezza della valuta comune e, di conseguenza, dell’intero impianto europeo. Con la nascita del Quantitative easing – un modo per assicurare liquidità al sistema e a buon prezzo – Bruxelles fu fornita di quello che viene comunemente chiamato il Bazooka che avrebbe difeso il suo onore e la sua stessa vita. Fu una decisione difficile perché fortemente contrastata e dagli esiti imprevedibili.



L’arma letale, usata nel modo giusto, ebbe l’effetto sperato. Ed è tutt’ora spianata a difesa dell’euro e dei Paesi che l’hanno adottato, sia pure con una forza di fuoco più blanda per il ridursi dell’allarme. Toccherà al successore di Draghi, l’ex direttore del Fondo monetario internazionale Lagarde, decidere se e come proseguire nell’impresa che eredita. L’economia dell’Unione è ancora debole – anche a causa delle guerre commerciali dichiarate da Usa e Cina – le imprese continuano ad avere problemi di competitività, l’occupazione langue.



La riconoscenza e l’affetto che si toccavano con mano durante la cerimonia di addio – ciao Mario, caro Mario, grazie Mario – sono state un tributo al carattere dell’uomo che più di ogni altro ha segnato quest’epoca in Europa. Accettando il rischio di misurarsi in terra incognita, come egli stesso definì il futuro che lo aspettava, Draghi mostrò la determinazione e il coraggio che all’Unione politica manca per svolgere il compito che i padri fondatori attribuirono a suo tempo alla Comunità nascente.

Non un accrocchio di Stati l’uno geloso dell’altro rassegnati a stare insieme da circostanze determinate da altri e irrobustitesi più per inerzia che per volontà, ma un’armoniosa costruzione di stampo federale tesa a migliorare il benessere di ciascun partecipante e di tutti insieme in un gioco a somma positiva. L’Europa, si direbbe parafrasando una vecchia réclame, è una cosa seria. E come tale va trattata. Non ne possiamo fare a meno e proprio per questo dev’essere un posto dov’è piacevole vivere, lavorare, metter su famiglia.

Il Forum italo-tedesco, che proprio in questi giorni si è svolto per l’ottavo anno consecutivo nella città simbolo di Bolzano, è uno di quei momenti in cui è palpabile il desiderio di costruire legami forti e duraturi, fondati sul confronto, sull’interesse comune e anche sulla simpatia reciproca che occorre suscitare con occasioni e azioni appropriate. Le Confindustrie di Italia e Germania hanno dibattuto di innovazione e intelligenza artificiale convenendo sulla necessità di dotare l’Unione di codici e infrastrutture comuni.

Al di là del tema prescelto, comunque determinante per le sorti industriali del Vecchio continente, è importante sottolineare l’utilità del processo che vede istituzioni analoghe ricercare il dialogo e soluzioni condivise anziché diversi o, peggio ancora, ignorarsi. Perché si vince o si perde tutti insieme. Perché l’Europa ha le risposte che i singoli Paesi non hanno. E occorre puntare su uomini e donne capaci perché, come Draghi ha dimostrato, reputazione e credibilità sono alla base della fiducia e del successo.