Mario Sniper Draghi, da buon cecchino, ha preferito tenere in serbo l’ultima pallottola. Il bazooka della Bce entrerà in azione solo a settembre, quando la frenata dell’economia della zona euro sarà così evidente da convincere i falchi tedeschi che, al di là della ripresa degli acquisti di titoli da parte della banca centrale, la situazione sarà ormai così grave da costringere l’Eurozona a mosse più energiche, alla giapponese.



Il buonsenso, poi, ha consigliato al direttorio di agire in contropiede, ovvero attendere le mosse della Federal Reserve per sintonizzare l’area euro con le scelte della banca centrale Usa. Sniper Draghi, veterano di mille battaglie che si accinge a lasciare il grilletto a Christine Lagarde, peraltro non nasconde le altre emergenze che consigliano alla Bce di non sprecare proiettili preziosi prima della battaglia: Francoforte, come Bruxelles, è pronta ad affrontare la bufera Brexit, piena di sfide (a partire dall’Irlanda) che puntano a far saltare la casa comune dell’euro, irreversibile secondo Draghi. Ma solo fino a un certo punto.



Si capiscono, insomma, le ragioni della prudenza della Bce che, al di là delle delusioni dei mercati, ha comunque avallato la prospettiva di interventi estremi, compreso l’acquisto di azioni. Ma c’è da domandarsi, però, quale sia l’effettiva determinazione dell’Europa, che stenta ad andare al di là delle azioni di politica monetaria per passare agli strumenti di politica fiscale, ben altrimenti efficaci in prospettiva. Fino a che punto il denaro elargito a piene mani, a tassi sempre più infimi, può servire a rilanciare un’economia che si rifiuta di bere? Il rischio è che si inneschi un circolo vizioso che assomiglia sempre di più alla trappola della liquidità: tassi sempre più bassi che servono a tenere in vita sempre più debitori, che si sono indebitati grazie all'”occasione” di tassi sempre più bassi.



Un gigantesco circolo vizioso che nasconde l’incapacità degli Stati a mettere in campo la politica fiscale utilizzando il surplus commerciale accumulato dalla Germania e da altri partners del Nord per avviare una politica di investimenti. Ovvero quello che sta facendo la Cina, che proprio in questi giorni ha azzerato il surplus accumulato negli ultimi anni mettendo le risorse al servizio di una gigantesca riconversione industriale e una straordinaria rivoluzione tecnologica basata sul digitale.

L’Europa non può permettersi una svolta in questa direzione. Difficile pensare che un elettore tedesco, almeno sin quando non colpito da una recessione specifica al proprio Paese, possa vedere di buon occhio la produzione di deficit aggiuntivo per “dare una mano agli italiani”. Certo, l’Eurozona è un monoblocco economico ad altissima interdipendenza, ma anche un collage di strutture che si ostinano a ragionare in piccolo. E Draghi, che da tempo sostiene che la politica monetaria più di tanto non può fare, non può far altro che adeguarsi.