Non ci sarà l’attesa sessione del Consiglio europeo che si sarebbe dovuta tenere a Berlino a metà novembre. Lo ha annunciato la Cancelliera Merkel al termine della riunione del Consiglio a Bruxelles del 15 e del 16 ottobre. La ragione presentata è la pandemia che ha mietuto contagi tra le schiere che hanno accompagnato i Capi di Stato e di Governo nelle due sessioni tenute a Bruxelles in ottobre (l’1 e il 2 prima del 15-16). La ragione sostanziale – sussurrano gli accompagnatori più vicini ad Angela Merkel – è la delusione della Cancelliera.



Il costo delle due riunioni è stato elevatissimo (in termini di portare a Bruxelles, allontanandoli dalle loro principali occupazioni, Capi di Stato e di Governo con diplomatici, esperti, portavoce e quant’altro). Il risultato magrissimo: una lettera a Londra per ricordare a Downing Street i termini e i tempi della Brexit e tanti comunicati pieni di auspici e buone intenzioni. Nessun passo concreto sl bilancio e programma finanziario settennale dell’Unione europea, quindi sul Next Generation Eu e sul Resilience and Recovery Fund, bloccati nella triangolazione Commissione, Consiglio, Parlamento che caratterizza il processo decisionale dell’Ue (una specie di triangolo delle Bermuda). Nessuno sulla cooperazione sanitaria mentre la pandemia, in forte ripresa, sta mettendo a dura prova i sistemi ospedalieri e le rete di medici di famiglia, nonché mietendo vittime in tutta l’Ue. La prossima riunione, l’ultima presieduta da Angela Merkel, sarà Bruxelles il 10-11 dicembre. Si spera che da qui ad allora (circa sette settimane) si sarà fatto, tramite incontri bilaterali, qualche passo.



A mio parere, non si faranno progressi concreti se Angela Merkel (ormai purtroppo sul viale del tramonto) non ritrova l’energia con cui espresse la propria visione a lungo termine sull’Europa nel discorso pronunciato al Bundestag nel marzo scorso. E se non vengono affrontati due nodi essenziali: a) il processo decisionali nell’Ue e b) le regole di base del funzionamento dell’Unione monetaria europea (Ume) dopo la pandemia.

Il “triangolo” Commissione, Consiglio, Parlamento che caratterizza il processo decisionale dell’Ue è un meccanismo unico al mondo, ma complesso e farraginoso, fatto di veti e contro-veti sia dei singoli Stati membri, sia delle stesse istituzioni Ue. Massimo Balducci, per decenni al Cesare Alfieri dell’Università di Firenze e advisor in materia di public management del Consiglio d’Europa e di altre organizzazioni internazionali, rileva che tale meccanismo andava bene nella Comunità economica europea composta di solo sei Stati. In un’Ue a 27 occorre guardare ad altri sistemi, ad esempio quello della Svizzera. Chi può fare proposte in materia? Difficilmente l’Italia, autorevolissima nella Cee ma entrata dell’Ume per il rotto della cuffia e da allora sempre con il cappello in mano a chiedere deroghe e aiuti. Neanche la Francia, dove la popolarità del Presidente Macron sta colando a picco. Se la Germania non può prendere la palla al balzo, nella riunione del 10-11 dicembre potrebbe proporre la costituzione di un comitato ristretto per analizzare il problema e formulare proposte.



La revisione delle regole dell’Ume è l’altro tema centrale per: i) inserire i numerosi problemi europei in una visione di lungo periodo e ii) correggere storture che a oltre due decenni della nascita dell’euro appaiono sempre più evidenti e costringono alla stagnazione Stati che non hanno effettuato il necessario riassetto strutturale prima di entrare nella moneta unica (o hanno economie dualistiche con forti differenze territoriali). Per il momento, a causa della pandemia, il Trattato di Maastricht e accordi come il Patto di stabilità e crescita sono “sospesi”, ma quando la crisi sanitaria verrà considerata terminata entreranno di nuovo in vigore.

Una riflessione dovrebbe iniziare subito. Come ha ricordato Richard Gardner in un libro che è una pietra miliare per comprendere il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, “la diplomazia del dollaro e della sterlina” (ossia quella anglo-americana) si prese carico nel 1943-44 di disegnare (e cominciare ad allestire) regole e istituzioni che avrebbero promosso crescita ed equità. Ora i leader dell’Ue dovrebbero affrontare le riforme per un’Ume che in quasi un quarto di secolo ha mostrato di necessitare di un “tagliando” serio affinché, dopo la pandemia, le sue regole non frenino la crescita e non aggravino l’indebitamento di alcuni Paesi, rendendo più difficile l’inevitabile riassetto strutturale. È un tema urgente perché giungere a nuove regole condivise dai 19 (e ratificate dai loro Parlamenti) è un processo lungo, tutto in salita e irto di ostacoli.

Ho rilevato altrove che, in materia, c’è un assordante silenzio sia da parte di leader politici, sia da parte di economisti, anche di coloro che avevano mostrato perplessità nei confronti dei “parametri di Maastricht” e del Patto di stabilità. Io stesso tenni un rubrichetta quotidiana su Il Foglio nel 1996-99 per esprimere perplessità che mostrai, in modo più organico, in un saggio su La Rivista di Politica Economica del gennaio 1999 e un libro collettaneo più o meno dello stesso periodo. Di recente hanno alzato la voce due economisti austriaci, Philipp Heimberger e Kurt Bayer (quest’ultimo ha rivestito incarichi alla Banca mondiale e alla Bers). Hanno detto in modo forte e chiaro quanto molti sanno: i “parametri di Maastricht” furono un compromesso proposto da giovani diplomatici del Benelux con conoscenze di economia, ma che si basavano su una strumentazione rudimentale e già allora obsoleta. Quelli successivi ne sono la conseguenza logica per promuovere l’attuazione dei primi. Con genuinità emiliana, Romano Prodi si tolse il laticlavio da Presidente della Commissione europea e li definì «stupidi».

In Italia, sul n. 9 del mensile Mondoperaio, è uscito un bell’articolo di un economista che non è mai stato allineato, Giuseppe Vitaletti, con proposte concrete su come rivedere i parametri soprattutto quelli relativi ai debiti delle pubbliche amministrazioni e i saldi delle bilance commerciali. Anche Giulio Tremonti ha lanciato alcune idee nel marzo scorso. Il mainstream e la gauche au caviar (sempre pronta ad agitarsi) non hanno reagito.

Mentre l’Italia poco può fare in materia di meccanismi decisionali Ue, il Governo della Repubblica, se avesse coraggio e immaginazione, potrebbe innescare il progetto di riforma dei parametri perché, superata la pandemia e utilizzato bene il Next Generation Eu e il Resilience and Recovery Fund rischia di trovarsi, in parte proprio a ragione dei parametri, avvitata in bassa crescita o stagnazione.