L’ormai storico whatever it takes compie i dieci anni. Correva il 26 luglio del 2012 quando Mario Draghi lanciò il guanto di sfida contro il rischio di fallimento della moneta unica e il ritorno alle valute nazionali. Oggi, alla vigilia del compleanno, l’euro segna un nuovo minimo da vent’anni rispetto al dollaro, ormai a un passo dalla parità.
E, secondo le previsioni, il sorpasso ci dovrebbere essere ad agosto, mese che storicamente è il più propizio per i ribaltoni valutari. Secondo la casa giapponese Nomura, a fine anno il cross tra le due monete più trattate sarà a 0,95, vicina ai minimi di sempre, segnati nella fase del debutto dell’euro, ai tempi della Presidenza dell’olandese Wim Duisenberg.
Una discesa lenta ma costante che contribuisce in maniera non indifferente all’inflazione: ogni punto di cambio in meno vale lo 0,1% un più sul carovita. Ma, ben più rilevante dell’impatto sui prezzi, l’euro debole segnala le difficoltà politiche, nonché economiche, del Vecchio Continente.
In termini aritmetici, non è difficile spiegare il calo dell’euro. La Federal Reserve sta accelerando l’azione di rialzo dei tassi di interesse: 75 punti a giugno, altri 75 tra poche settimane, mezzo punto almeno a settembre per arrivare a fine anno al 3,50% almeno. Per contro, la Bce si limiterà a un mini-aumento dello 0,25%, il primo dopo otto anni, più un secondo a settembre, accompagnato dall’aumento dei tassi sui depositi presso la Bce: dopo alcuni anni di Purgatorio, banche, fondi pensione e altri protagonisti della finanza riceveranno un pur modesto interesse a fronte dei depositi presso la banca centrale. In sostanza, gli interessi sull’aera dollaro saranno di almeno il 2% più attraenti di quelli della moneta unica.
Ma dietro l’aritmetica ci sono problemi di sostanza. La Bce è costretta a subire una svalutazione non gradita, soprattutto per gli effetti sull’import di energia, per due ragioni:
– Ogni aumento dei tassi mette a rischio l’unità dell’area, visto che, dieci anni dopo l’appello di Draghi, lo stato delle finanze pubbliche dei 19 Paesi della comunità di Francoforte è ancora estremamente frammentato. Il solo annuncio del primo aumento, non accompagnato dal varo dello scudo anti-spread, ha messo a grave rischio i titoli di Italia, Spagna e Portogallo. Madame Lagarde, per ora, ci ha messo una pezza. Ma per quanto? Il traguardo dell’Unione bancaria, indispensabile per sostenere il sistema di fronte alle crisi, è stato per ora fallito. Se ne parlerà, forse, con la nuova Commissione. Intanto la Bundesbank ha rispolverato la retorica contro gli interventi a supporto dei titoli del Sud Europa.
– La fragilità della moneta unica è lo specchio della debolezza della congiuntura dell’economia europea. Messa a rischio dall’aumento a tripla cifra dei prezzi dell’energia, specie del gas, culminati nel primo deficit commerciale della Germania dopo trent’anni. Il ricatto di Mosca per ora funziona. Ci vorrà tempo e tanta pazienza, in particolare, per ricostruire un quadro virtuoso per la locomotiva europea, la Germania che ha perso uno dopo l’altro i pilastri della stagione Merkel: l’energia a basso costo garantita da Mosca; gli acquisti del cliente migliore, la Cina; l’efficienza di una rete logistica e produttiva su scala globale, andata in crisi tra guerre e pandemie.
Come se ne esce? Il prossimo whatever il takes dovrà affrontare il nodo dell’energia affrancando l’Europa dalla sudditanza verso Mosca (e non solo). Una sfida tecnologica e politica che non potrà prescindere dall’unità tra i principali Paesi. E speriamo che stavolta il cammino non si fermi a metà. La crisi, forse, non ci consentirà di aspettare altri dieci anni.
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