La travagliata nascita del decreto legge che stabilisce restrizioni per il periodo tra Natale e l’Epifania (e relativi “ristori”) è un’indicazione eloquente di come il Governo, e in particolare il presidente del Consiglio, abbia una chiara contezza del concetto di rischio ma non di quello di incertezza. In economia, l’incertezza, com’è noto, differisce dal rischio perché il secondo e le sue implicazioni possono essere stimate facendo ricorso a metodi più o meno complessi di calcolo delle probabilità, mentre la prima è un cambiamento totale e non prevedibile di situazione e di quadro economico e/o politico.



Nella preparazione del decreto legge, così come in passato nell’approntare altre misure, il Governo ha tentato di trovare un punto di equilibrio tra due tipologie di rischio: una recrudescenza, o peggio una “terza ondata”, di un virus che ha causato in Italia uno dei più alti numeri di decessi nei Paesi avanzati di analoghe dimensioni e popolazione, e una disfatta alle elezioni amministrative in programma in primavera. Infatti, le restrizioni, anche se sono e probabilmente saranno a lungo la principale (ove non l’unica) arma per contenere il virus, sono impopolari e colpiscono numerose categorie che, a ragione o a torto, si sentono bersagliate e non adeguatamente compensate per i loro sacrifici nella lotta al Covid-19, un obiettivo comune di tutti gli italiani per il quale però alcuni pagano un prezzo più alto di altri. Queste categorie stanno esprimendo il loro dissenso nelle piazze e lo faranno sentire ancora di più al momento del voto. I sondaggi indicano già ora che i partiti e i movimenti politici che sostengono il Governo, pur se hanno una leggera maggioranza in Parlamento (risicatissima in Senato), sarebbero in netta minoranza se si votasse oggi.



L’equilibrio tra le due tipologie di rischio non è facile. I sondaggi elettorali sono indubbiamente lo strumento più utile per avere una stima quantitativa del rischio di perdita alle elezioni primaverili. Ciò non comporterebbe necessariamente uno scioglimento delle Camere poiché con il “semestre bianco” – periodo di fine mandato in cui il Capo dello Stato non può sciogliere il Parlamento – alle porte – inizia a fine luglio – e con la pandemia ancora in corso, al Governo potrebbe essere richiesto di restare in funzione sino alla fine della legislatura: si tratterebbe, però, di un Esecutivo azzoppato (e con crescenti dissidi interni), con due terzi delle Regioni governate dall’opposizione e con la consapevolezza di essere in netta minoranza nel Paese.



Più difficile stimare in misura quantitativa il rischio dell’incidenza della diffusione del virus, del suo impatto su un Sistema sanitario nazionale già quasi stremato, e sui decessi in caso di allentamento delle restrizioni, Manca l’esperienza “storica” per avere dati sufficiente solidi per effettuare stime. Le scienza epidemiologica offre pareri e consigli, ma non analisi statistiche probanti.

Si potrebbe agire come nella Repubblica federale tedesca, dove di fronte all’aumentare dei contagi, dell’onere sulla sanità e dei decessi, il Cancelliere Angela Merkel è andata in televisione per annunciare restrizioni severe dal 16 dicembre al 10 gennaio. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è consapevole di non essere alla guida di una coalizione così compatta come quella diretta da Angela Merkel. Da giurista, sa che il presidente del Consiglio italiano è un primus inter pares rispetto ai Ministri e non ha i poteri di un Cancelliere (anche se ha fatto numerosi tentativi per attribuirsene). È consapevole di non avere il consenso e la stima della popolazione di cui gode Angela Merkel. Forse, sta anche metabolizzando che le sue troppo frequenti apparizioni televisive hanno appannato le sua immagine. Quindi, tende a sottostimare i rischi di un allentamento delle restrizioni sulla pandemia a fronte dei rischi altamente probabili di una sconfitta elettorale dei partiti e movimenti che lo sostengono. D’altronde, quasi tutti i soggetti economici (individui, famiglie, imprese, Governi) danno maggior peso ai rischi che riescono a calcolare che a quelli di cui non giungono a quantizzare la portata.

Il risultato sono misure che per certi aspetti sfidano il buon senso come le restrizioni “a singhiozzo” con giorni di “apertura” che si alternano a quelli di “chiusura” con il probabile esito che nei primi si riverseranno nelle piazze, nelle strade, nei bar, nei ristoranti tutti coloro che, nei secondi, si sono sentiti, a torto o a ragione, “prigionieri” delle restrizioni loro imposte dal decreto legge.

Cosa si sarebbe fatto maneggiando gli strumenti della “economia dell’incertezza”? Quest’ultima suggerisce di acquisire gradualmente le informazioni necessarie affinché si chiarisca il quadro, adottando, se del caso, il “principio di precauzione”, ossia prendendo l’avvio dall’ipotesi di un quadro più fosco, con misure, quindi, più severe, da alleggerire man mano che le informazioni consentano di vedere, o anche solo intravedere, il sereno. Quindi, restrizioni dure, come in Germania, indicando, però, chiari “parametri” (contagi, ospedalizzazioni, terapie intensive, decessi) per il loro allentamento. Ciò, però, richiede “l’occhio lungo” di uno statista che guarda ben oltre le prossime elezioni. Chi non ce lo ha, non se lo può dare.