Nella narrativa di palazzo Chigi, ispirata – si dice – dal portavoce del presidente del Consiglio Rocco Casalino, la trattativa per l’accesso dell’Italia al Next Generation EU viene presentata come un film western, quasi come il capolavoro di Fred Zimmermann del lontano 1952 Mezzogiorno di fuoco: l’Avvocato Giuseppe Conte, novello Will Cane (Gary Cooper), lotta contro tutti, mentre i suoi concittadini, terrorizzati dai banditi, si sono rintanati in casa e non gli danno il supporto, materiale e morale, che meriterebbe. Unicamente sua moglie Amy (Grace Kelly) lo aiuta. Dopo 85 minuti di tensione, Will Cane riesce a sconfiggere “i cattivi” e a fare tornare la pace nel villaggio dell’estremo West. La sceneggiatura è aggiornata: non c’è Amy, ma la “donna dei miracoli”, Angela Merkel, che ne sa e ne fa più di Padre Pio (venerato dall’Avvocato) e in luglio si schiererà al suo fianco per risolvere di un sol colpo tutti i problemi.



È una narrativa che dipinge un mondo fatto di “buoni” e “cattivi” e che non tiene conto dei veri nodi da sciogliere nelle prossime settimane, o mesi – il tempo che ci vorrà per andare dalla proposta della Commissione sul Next Generation EU a una delibera – all’unanimità – del Consiglio europeo. Il mondo reale è, ovviamente, più complesso: non ci sono “buoni” e “cattivi”, ma elettorati che si domandano se e quanta “solidarietà” estendere ancora a Stati che non sembrano avere impiegato bene quella loro data in passato. Non ci sono neanche eroi ed eroine, ma istituzioni internazionali e Governi che negoziano guardando ai propri elettori e alle coalizioni su cui si reggono i loro Esecutivi.



Il Consiglio europeo del 19 giugno è stato breve. Ciò indica quanto lontane siano le vare posizioni. Dagli anni Sessanta, negli ambienti delle istituzioni europee, vige un detto: al termine delle lunghe notti di Bruxelles, sorge sempre il sole. In effetti, perché si giunga a un accordo ci vuole una trattativa lunga. Ciò avveniva in una Comunità economica europea a sei. Figuriamoci in una Unione europea a ventisette! Su una proposta della Commissione che non prevede solo vasti finanziamenti a Stati e a Governi, considerati, a ragione o a torto, poco affidabili, ma anche e soprattutto un trasferimento di sovranità in materia di capacità impositiva.



È una prassi da decenni che le proposte della Commissione siano molto più ambiziose (in termini di una sempre maggiore integrazione) di quanto i consigli dei Ministri, e quello dei capi di Stato e di Governo, dell’Ue accettino al termine di complesse trattative. Quindi, è probabile che, seguendo una prassi consolidata, anche questa volta i fondi a valere sul Next Generation EU vengano ridimensionati e le condizioni rese più stringenti.

A questo stadio, “i nostri eroi”, ossia coloro che negoziano per tutti noi con gli altri Stati dell’Ue, dovrebbero chiedersi come massimizzare i fondi che ci verranno concessi e quali sono le “condizionalità” più difficili da ottemperare.

Sul primo punto, è prominente la questione dell’accesso o meno allo sportello finanziario del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Su questa testata abbiamo più volte sottolineato che se non si modifica il trattato iniziale (processo lungo e complicato anche a ragione delle ventisette ratifiche richieste), c’è sempre il rischio che, nonostante le delibere del Consiglio dei Governatori, possa emergere, prima o poi, una richiesta di condizionalità di politica economica, come sostengono coloro che si oppongono all’accesso dell’Italia a tale strumento. Tuttavia, dato che i Governatori del Mes sono i ministri dell’Economia e delle Finanze dell’Ue, questa ipotesi è estremamente improbabile; a ragione delle caratteristiche dello sportello finanziario del Mes (disponibile già oggi), è quanto meno difficile una posizione negoziale in cui, da un lato, non si ricorre al Mes e dall’altro si chiede un “anticipo-ponte” sui fondi a valere su un Next Generation EU che, nella ipotesi migliore, sarà operativo tra circa un anno. In breve, se vogliamo che “arrivino i nostri” (o la “nostra” Angela Merkel che pure lei ha un bel da fare a convincere il proprio elettorato a firmare nuove aperture di credito all’Italia), dobbiamo “darci una regolata” (per utilizzare il gergo romanesco) sul Mes.

In secondo luogo, come abbiamo già sottolineato, secondo le proposte della Commissione, le condizioni per l’Italia per accedere ai fondi a valere sul Next Generation EU dovrebbero riguardare: a) finanza pubblica e graduale riduzione del debito; b) miglioramento del coordinamento tra Stato e Regioni, b) rafforzamento delle sanità; c) sostegno alle fasce deboli; d) efficacia delle politiche attive del lavoro; e) aumento qualitativo di istruzione e formazione, f ) investimenti “verdi” e digitali; g) riforma della giustizia; e) miglioramento della Pubblica amministrazione. Tra i 27 Capi di Stato e di Governo ci sono però leader i cui elettorati vorrebbero condizionalità più stringenti. Non solo i quattro “frugali”, i tre baltici e i quattro di Visegrad (ossia ben undici), ma nella stessa Germania. Hans Werner Sinn, da sempre il consigliere più ascoltato di Angela Merkel, ha diffuso in tutto il mondo un articolo in cui pone l’accento sull’esigenza di una “condizionalità rigorosa”, con anche ristrutturazione del debito, se del caso.

Il presidente del Consiglio ha indicato che il programma verrà allestito in settembre, al momento della preparazione della Legge di bilancio, anche sulla base dei suggerimenti raccolti agli “Stati Generali dell’economia”. Ciò offre il fianco ad accusare l’Italia di volere ritardare il negoziato, almeno per quanto riguarda la sua partecipazione al Next Generation EU. Indebolisce, quindi, la posizione di Roma. Il rinvio a settembre si basa sull’auspicio che si sciolgano i nodi (sulle condizioni) all’interno della maggioranza, e soprattutto che la maggioranza non imploda nella messa a punto del programma.

Le posizioni sono, infatti, molto distanti su numerosi punti. Ad esempio, sul programma di investimenti pubblici, il Movimento 5 Stelle si oppone a progetti pronti (come “La Gronda”) e propone proposte solo abbozzate e allo stato di idee (come la ferrovia “diagonale” meridionale per collegare Tirreno, Adriatico e Ionio). I veri nodi sono sulle riforme: come dare un assetto europeo alla giustizia se lo stesso Guardasigilli è, a torto o ragione, al centro di polemiche che toccano le influenze della criminalità organizzata? Come portare gli standard di istruzione e formazione a livello europeo se il Pd chiede la stabilizzazione ope legis dei precari? Si potrebbe continuare. Il nostro Will Cane pare abbia una Colt scarica che non incide neanche sui propri “amici” (per così dire).

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