L’autunno inizia con dati economici incoraggianti sia per quanto attiene la crescita della produzione e il quadro occupazionale sia soprattutto per quanto attiene – come sottolineato questo fine settimana al consueto convegno della European House Ambrosetti a Cernobbio – gli indicatori di fiducia delle imprese. Sembra proprio che il Governo Draghi sia riuscito, o stia riuscendo, ad effettuare quella svolta nell’atteggiamento degli imprenditori rispetto alle potenzialità dell’economia italiana che mancava da oltre un quarto di secolo.



E’ ancora presto per dirlo. Se la svolta si rafforzasse, grazie all’attuazione delle riforme e degli investimenti del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), l’Italia potrebbe tornare, dopo 25 anni, sulla corsia di una crescita moderata (attorno al 2% l’anno) come si addice ad un Paese a demografia anziana e con un sistema produttivo maturo.



Si tratta ancora di indicazioni fragili e di prospettive che potrebbero non realizzarsi. Un banco di prova importante è la preparazione e attuazione della Legge di bilancio 2022. Le scadenze sono imminenti, anche se pare che non attirino l’attenzione della grande stampa quotidiana. Ricordiamone i punti salienti.

Da quando è in vigore il “semestre europeo” – uno strumento per coordinare le politiche di finanza pubblica degli Stati dell’Unione europea (Ue) per quanto riguarda la tempistica dei principali documenti di politica economica -, un regolamento (Ue) fissa un “calendario comune di bilancio”. Il calendario prevede la presentazione alla Commissione europea e all’Eurogruppo entro il 15 ottobre di un Progetto di documento programmatico di bilancio (Dpb) per l’anno successivo, riassuntivo dei contenuti della manovra predisposta per il triennio di riferimento con il disegno di legge di bilancio. Tale documento, che va anche trasmesso alle Camere nel medesimo termine del 15 ottobre, deve essere coerente con le raccomandazioni delle istituzioni europee.



Facciamo il conto alla rovescia. Entro il 27 settembre il Governo presenta alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (NaDef) La Nota contiene: a) l’eventuale aggiornamento delle previsioni macro-economiche e di finanza pubblica per l’anno in corso e per il restante periodo di riferimento; b) l’eventuale aggiornamento degli obiettivi programmatici individuati dal Documento di Economia e Finanza (Def), al fine di prevedere una loro diversa ripartizione tra lo Stato e le amministrazioni territoriali ovvero di recepire le indicazioni contenute nelle raccomandazioni eventualmente formulate dalla Commissione europea; c) le eventuali modifiche e integrazioni al Def conseguenti alle raccomandazioni del Consiglio europeo; d) l’obiettivo di saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato e di saldo di cassa del settore statale; e) l’indicazione dei principali ambiti di intervento della manovra di finanza pubblica per il triennio successivo, con una sintetica illustrazione degli effetti finanziari attesi dalla manovra stessa in termini di entrata e di spesa, ai fini del raggiungimento degli obiettivi programmatici.

Qualora il Governo intenda procedere a una modifica degli obiettivi programmatici di finanza pubblica, è tenuto ad inviare, preventivamente alla presentazione della Nota, entro il 10 settembre, le linee guida per la ripartizione degli obiettivi alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, per il relativo parere da esprimere entro il 15 settembre. Le linee guida sono altresì trasmesse entro il medesimo termine alle Camere. Entro il 15 ottobre il Governo presenta alla Commissione europea e all’Eurogruppo, e contestualmente trasmette alle Camere, il progetto di Dpb per l’anno successivo, riassuntivo dei contenuti della manovra predisposta con il disegno legge di bilancio. Siamo, quindi, alla vigilia della messa a punto del principale documento di finanza pubblica e di politica economica.

La preparazione è iniziata da tempo a Via XX Settembre e a Palazzo Chigi. Il fatto che non solo non se parla, ma non escono neanche voci, bisbigli e sussurri, è indicazione del fatto che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che è stato Direttore generale del Tesoro, e il ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, che è stato Ragioniere generale dello Stato, intendono ritornare allo spirito originale della Legge di bilancio: un provvedimento snello che fissi i saldi di finanza pubblica non una legge “omnibus” che possa essere caricata di tutto e di più (come le “finanziarie” degli anni Ottanta del secolo scorso e anche le ultime leggi di bilancio).

In quest’ottica, quanto più le forze politiche della maxi-maggioranza su cui si regge il Governo litigano su questo e su quel tema, tanto più la Presidenza del Consiglio e il ministero dell’Economia e delle Finanze hanno buon gioco nel rispondere che ci sono motivi sostanziali, oltre che quelli formali, di restituire alla Legge di bilancio la sua veste originaria, e che, quindi, occorre aspettare che i tempi siano maturi per una normativa ad hoc.

Due di questi temi sono la riforma del cosiddetto Reddito di cittadinanza e della previdenza (e anche il futuro del cosiddetto “contributo di solidarietà”, poco apprezzato dalla Corte costituzionale e che mette le mani in tasca a 24mila persone, tra cui gli stessi Draghi e Franco). Sono temi divisivi, soprattutto perché considerate “bandiere” da quel-che-resta del Movimento 5 Stelle.

Per il Reddito di cittadinanza basta non muovere palla nella Legge di bilancio, ritoccando se possibile al ribasso il fondo annuale ad esso dedicato (se non altro perché le procure indicano che una parte va a mafiosi, narcotrafficanti, lavoratori in nero e simili). Non toccare palla anche in materia di “contributo di solidarietà”, e seguire così il dettame della Corte costituzionale. In materia di riforma della previdenza, la materia è tanto complessa da richiedere una legge ad hoc.