L’Italia ha urgentemente esigenza di finanziamenti europei. Lo indicano chiaramente tutte le previsioni econometriche, anche quelle dei centri studi italiani; anche se ancora non pubblicate, stanno cominciando a circolare in seminari e riunioni di lavoro. Gli scenari sono incerti dato che numerose determinanti sono ancora basate su ipotesi aleatorie. Tuttavia, le varie proiezioni indicano una forte caduta del Pil quest’anno e il seguente e una debole ripresa nel 2022 che potrebbe, in aggiunta, essere seguita da una nuova recessione.



Come sottolineato su questa testata, se i trasferimenti alle imprese e alle famiglie non arriveranno presto, una proporzione elevata delle prime (soprattutto piccole e medie) sarà costretta a portare i libri in tribunale e a chiudere i battenti per sempre (soprattutto in settori come turismo, spettacolo, commercio). Aumenterà in misura significativa il numero delle famiglie che scenderà sotto la soglia della povertà. Sarebbe necessaria una manovra di bilancio espansiva del 10% del Pil (e misure di snellimento delle procedure per assicurare che gli stanziamenti giungano nei conti correnti e nelle tasche dei beneficiari), ma – come più volte illustrato su questa testata – l’alto peso del debito della Pubblica amministrazione lo impedisce. In breve, da soli non ce la faremo a uscire da quella che si profila come una grande (e lunga) depressione.



La strategia dovrebbe essere lineare e semplice: utilizzare al meglio la solidarietà europea, dando al tempo stesso prova di responsabilità non solamente nell’impiego dei finanziamenti, ma anche nel rimettere in sesto la nostra finanza pubblica e il debito della Pubblica amministrazione. È utile ricordare che sino al 2008 i conti pubblici italiani hanno evidenziato un saldo primario attivo (anche se inferiore a quanto necessario per portare a un livello significativamente più basso il debito della Pubblica amministrazione rispetto al Pil). Ciò era sufficiente per dare un segnale ai mercati che si perseguiva la strada della sostenibilità. Una volta superata la crisi e messici su un percorso di ripresa, occorrerebbe tornare alla strada seguita sino al 2008 per avere la fiducia dei mercati e ridurre progressivamente il peso del debito della Pubblica amministrazione. Senza manovre quali un’imposta patrimoniale straordinaria.



Per ora le maggiori agenzie di valutazione dei nostri titoli di stato hanno sospeso il giudizio anche in quanto l’Italia è il maggior beneficiario del programma speciale Peltro della Bce (che potrebbe essere rivisto alla luce della sentenza della Corte Costituzionale tedesca). Anche i finanziamenti a carico del Sure (il programma per il sostegno di chi è colpito da interruzioni del rapporto di lavoro) arriveranno senza difficoltà. E così pure quello delle sportello per le medie imprese della Banca europea degli investimenti (Bei). Infine, pochi hanno notato che l’Italia ha già chiesto di accedere al Fondo europeo di solidarietà (Fes); in origine quei finanziamenti erano destinati per le catastrofi naturali, poi la Commissione ha deciso di dirottare i fondi per comprare materiale sanitario per gli Stati più colpiti dalla pandemia. Tutti strumenti utili ma non risolutivi.

Il nodo centrale è se chiedere appena possibile un prestito al nuovo “sportello sanitario” del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) o se attendere l’istituzione e l’operatività del Recovery Fund da cui tirare somme maggiori e presumibilmente a condizioni migliori. Sul Mes c’è polemica all’interno sia del Governo, sia delle opposizioni. Sotto il profilo giuridico formale ha perfettamente ragione il Prof. Alessandro Mangia che la ha espressa eloquentemente il 9 maggio su questa testata: un accordo in seno all’Eurogruppo e uno scambio di lettere tra due Commissari europei ed il Presidente del consesso dei ministri dell’Economia e delle finanze degli Stati dell’eurozona non modifica o emenda un accordo internazionale quale quello che è alla base del Mes. A fronte dell’emergenza è, però, plausibile una scorciatoia per rendere fattibili prestiti molto favorevoli per le spese sanitarie, nonché la decisione degli organi del Mes di applicare unicamente vigilanza a che le somme siano utilizzate per le voci stabilite, senza “condizionalità” di politica economica.

Ci sono tre determinanti che suggeriscono di fare ricorso al Mes: a) le condizioni sono molto più favorevoli di quelle che si potrebbero ipotizzare rivolgendosi al mercato: b) il Mes – come sostenuto su questa testata il 20 aprile – apre la strada alle Outright monetary trasanctions (Omt) di cui l’Italia potrebbe avere esigenza sia per uscire dell’emergenza, sia nella fase dell’inevitabile riassetto strutturale; c) infine, come dice un vecchio proverbio britannico attribuito a John Heywood, beggars can’t be choosers (chi chiede assistenza non può fare la bocca difficile).

Tanto più che allo stato attuale il Recovery Fund è, al pari di un genere di musica contemporanea, aleatorio. Uno schema è in fase di diramarlo agli Stati membri il 20 maggio. Ci sono divergenze profonde sul suo finanziamento e sulle sue modalità operative. Il Fund dovrebbe fornire sia prestiti (loans) sia sovvenzioni a fondo perduto (grants). Le proporzioni tra gli uni e le altre sono al centro di trattative tra gli Stati settentrionali dell’Ue e quelli meridionali; naturalmente, i primi propendono per un Fund che conceda principalmente prestiti e gli altri chiedono sovvenzioni. I prestiti sarebbero a lungo termine. La Commissione prevede di raccogliere sul mercato circa 320 miliardi di euro utilizzando il suo rating tripla A. Secondo le stime della Commissione, ciò attiverebbe 1,5-1,6 trilioni di euro di spese per investimenti e per il recovery in senso lato. Dal momento che la Commissione si finanzierebbe sul mercato, il rimborso dei prestiti avverrebbe dopo il 2027 per un lungo periodo di tempo o attraverso nuove fonti di entrate per il bilancio dell’Ue – tra cui, come proposto precedentemente al fine di ampliare la dotazione del bilancio comunitario, dazi su prodotti inquinanti ed imposte sulla plastica e sulle transazioni finanziarie. Fonti da considerare molto aleatorie.

I nodi sono tali e tanti che è difficile pensare che i lineamenti dello strumento possano essere approvati al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Ue in calendario per il 18-19 giugno, che il Fund sia operativo il primo gennaio 2021 e che i finanziamenti giungano agli Stati (che devono poi trasferirli a imprese e famiglie) prima della primavera 2021. Troppo tardi per evitare un disastro.

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