Si riaccende il confronto politico-istituzionale attorno alla Banca d’Italia. Il governo non ha ancora espresso il suo parere (formalmente non vincolante, ma sostanzialmente rilevante) sulle recenti nomine proposte dal governatore Ignazio Visco e approvate dal Consiglio superiore di Via Nazionale.

Dopo le dimissioni del direttore generale Salvatore Rossi (anticipate di poche settimane rispetto al pensionamento), Visco ha promosso il vicedirettore generale Fabio Panetta, che negli ultimi cinque anni è stato il rappresentante Bankitalia nel Consiglio di supervisione bancaria della Bce. Accolte le ulteriori dimissioni di Valeria Sannucci, il governatore ha indicato due nuovi vicedirettori generali: Daniele Franco, cresciuto in Banca d’Italia prima di approdare al Mef come Ragioniere generale dello Stato, e Alessandra Perrazzelli, un avvocato d’affari attualmente vicepresidente della multi-utility lombarda A2A. Nella terza casella di vicedirettore generale è in situazione di limbo Luigi Federico Signorini: in carica fino a febbraio con la delega alla vigilanza bancaria, ma finora non confermato per il parere negativo giunto dal governo.



E’ stato quest’ultimo passaggio ad aprire una “guerra di posizione” non ancora conclusa fra maggioranza giallo-verde e banca centrale: con quest’ultima arroccata nella trincea della propria indipendenza istituzionale e premuta tuttavia sui molti versanti della “questione bancaria”, soprattutto dopo la decisione di riaprire la commissione parlamentare d’inchiesta. Sullo sfondo, intanto, assumono profilo gli sviluppi politico-finanziari in Europa e le congetture sul futuro di Mario Draghi, in uscita dalla Bce.



In questa cornice, la Banca d’Italia – sotto l’occhio attento del Quirinale – ha adottato una linea di resistenza flessibile. Visco ha anticipato l’uscita di scena di Rossi (fra l’altro presidente dell’Ivass, organo di vigilanza assicurativa) e Sannucci e ha effettuato due spostamenti di pedine indiscutibili sul fronte dell’indipendenza, ma nel contempo accettabili per il governo Di Maio-Salvini. Panetta è noto per aver faticosamente difeso il sistema bancario italiano negli anni di massima pressione rigorista da parte della vigilanza Bce a guida franco-tedesca. Franco, invece, libera – a beneficio di una nuova designazione da parte della maggioranza in carica – una casella-chiave per l’impostazione delle future manovre di bilancio. Su questi due nomi è nota fin dal giorno delle designazioni l’assenza di opposizione di Palazzo Chigi.



Diversi invece – anche fra loro – i casi di Perrazzelli e Signorini. Quest’ultimo, veterano di Palazzo Koch, è stato e resta il bersaglio privilegiato della polemica anti-bancaria condivisa – seppure in forme e misure diverse – da M5s e Lega, con vasti seguiti d’opinione pubblica, ben visibili negli ultimi esiti elettorali. Ma è per la riconferma di Signorini che passa la riaffermazione visibile dell’autonomia di Bankitalia da qualsiasi indicazione proveniente da qualsiasi governo. Ed è per questo che Visco è ricorso al “sacrificio” pubblico di Rossi e alla staffetta con Panetta: contando di ottenere in cambio la riconferma finale di Signorini. Sulla quale, tuttavia, un pronostico resta difficile, nella concitata fase politica interna ed europea.

Perrazzelli è invece finita nel mirino (non solo delle forze di governo) per una pluralità complessa di motivi. La sua inesperienza in qualsiasi campo d’attività di central banking, anche a livello scientifico-accademico, è risultata privilegiata da Visco in una lista redatta da un cacciatore di teste esterno. L’esito di una procedura non usuale per un’authority di grande tradizione e autonomia ha comunque sconfessato nei fatti la qualificazione di decine di alti dirigenti della struttura Bankitalia. Un’argomentazione ufficiosa ha, infine, sottolineato l’impossibilità di individuare una “quota rosa” interna con curriculum competitivo rispetto ad altri candidati maschi. Ulteriore punto insidioso: da un lato, Bankitalia non ha evidentemente provveduto ad alimentare la linea “rosa” interna alle spalle di Anna Maria Tarantola e della Sannucci; dall’altro, un’applicazione formalistica delle norme sulle quote rosa ha apparentemente escluso candidati interni all’altezza dell’incarico e quindi delle pretese di indipendenza della “scuola” di Via Nazionale. Ma su Perrazzelli sono emersi altri e più sostanziali elementi di riserva.

Il primo è l’aver operato – dopo un’esperienza in uno studio di New York – nel servizio legale di Intesa Sanpaolo: tutt’oggi detentrice della più importante partecipazione nel capitale di Via Nazionale, su una frontiera tuttora delicatissima nel dibattito sulla vigilanza bancaria nazionale e quindi sull’indipendenza di Bankitalia. Successivamente, l’avvocato di origini genovesi è stata country manager per l’Italia di Barclays. Il colosso bancario britannico è finito più volte nell’occhio del ciclone dopo la crisi del 2008, ritrovandosi fra l’altro al centro del caso delle manipolazioni globali del Libor. L’ex Ceo, John Varley, è tuttora sotto processo a Londra con svariate accuse di frode legate al discusso salvataggio di Barclays ad opera di fondi del Qatar. In Italia, l’amministratore delegato Vittorio Maria Di Stasio dovette dimettersi nel 2012, accusato dalla stessa Barclays di “corruzione tra privati” nella concessione del credito. Inizialmente condannato, Di Stasio è stato prosciolto nel 2016 in seguito a un accordo transattivo con la banca e al ritiro della querela penale.

Un separato ordine di critiche alla designazione di Perrazzelli riguarda, infine, la sua presunta coloritura politica. Un appunto che pare in effetti difficile contestare. Quando l’attuale incarico al vertice di A2A è stato deciso due anni fa dal sindaco di Milano, Beppe Sala, e condiviso dal collega di Brescia, Emilio De Bono. I due Comuni sono residue roccaforti della resistenza del Pd nell’Italia settentrionale e in particolare nella Lombardia, politicamente dominata dalla Lega. Ed è nell’asse Milano-Brescia (da sempre portante, ad esempio, negli equilibri di Intesa Sanpaolo) che Salvini ha infatti subito individuato un momento di spinta per la designazione di Perrazzelli: a (presunto) presidio di un caposaldo romano di una più ampia rete di “resistenza democratica” formata da enti locali, banche, Fondazioni, media, magistrature nel Nord.