Il contenuto dell’annuncio di ieri della Bce è stato sostanzialmente in linea con le attese del mercato: il programma di acquisiti è stato aumentato di 500 miliardi di euro ed esteso fino a marzo 2022. L’annuncio ha “mosso” i mercati con un mini-rialzo dei rendimenti delle obbligazioni statali europee e soprattutto con un rialzo dell’euro nei confronti del dollaro. Non c’è stata nessuna “sorpresa” in senso accomodante e il mercato quindi ha continuato a scommettere su un apprezzamento dell’euro.



Per comprendere la “prospettiva” dei mercati usiamo il commento pubblicato ieri pomeriggio sul Wall Street Journal. La presidente della Bce farà tutto quello che può che è diverso da tutto quello che serve. Il commento partiva con un esplicito riferimento al “whatever it takes” di Draghi per poi proseguire sottolineando che la Bce non può fare tutto quello che servirebbe e nei tempi che servirebbero a causa delle divisioni politiche all’interno dell’eurozona. All’Europa, in sostanza, servirebbe di più e più in fretta con un coordinamento che non può esserci e non potrà esserci viste le grandi differenze che rimangono tra Stati del nord e Stati “mediterranei” e tra le diverse sensibilità sulla propria sovranità dei Paesi membri a partire non solo da Germania e Paesi dell’est, ma anche dalla Francia e dalla Spagna.



Altri commentatori facevano notare le aspettative di inflazione dell’Unione europea al 2023, ben al di sotto del target del 2%; l’Europa per raggiungerlo avrebbe bisogno di più stimoli fiscali o di più stimoli monetari. Questa “informazione” è dentro le stesse stime della banca centrale. Per il momento la Bce sta facendo quello che basta a tenere in ordini gli spread all’interno dell’eurozona e la calma sui mercati obbligazionari.

L’euro sale da dodici mesi e, in un mondo normale, non dovrebbe essere il massimo per una costruzione, l’Europa, basata su cambio artificialmente debole ed export. La Germania però può permettersi una riduzione del surplus commerciale che in questa fase geopolitica è utile ed evita che si accendano fari spiacevoli su una posizione di surplus senza senso. Per chi è rimasto con l’unica arma delle esportazioni, dopo austerity e deflazione interna, e magari si ritrova con tanto debito invece sono dolori.



Estendendo un po’ l’orizzonte temporale, per quanto possibile in una fase così complicata, quello che si registra, dopo l’annuncio di ieri, sono altri sei/nove mesi di relativa tranquillità in Europa. I conti non verranno fatti e tutti lasceranno ampi margini ai governi nazionali, inclusi quelli che vengono guardati con crescente sospetto e preoccupazione. Nessuno però si illude che i conti non si faranno e tutti si stanno posizionando per il momento in cui inevitabilmente arriveranno. Il problema non è se si pagherà il conto della crisi; il problema è quando e soprattutto chi e come.

In Francia negli ultimi mesi si sono registrati fenomeni finanziari simili a quelli italiani, ma il Paese transalpino ha fatto i compiti in modo diligente e intelligente. Macron ieri ha spiegato chiaramente che il Paese non si imbarcherà in inutili e costosissime transizioni energetiche, ma continuerà a scommettere sul nucleare che rimarrà, giustamente, al centro della strategia verde. Il programma per utilizzare i “fondi europei” è già pronto e il Paese non ci pensa nemmeno a sottoscrivere condizioni capestro facendosi declassare il debito sovrano. Quando bisognerà fare i conti e decidere chi paga la Francia, nonostante un doom loop evidente, e una crisi simile a quelle italiana, come nel 2009, deciderà in piena autonomia e avendo ben presente gli interessi “sovrani” anche economici. Una parola, sovranità, comparsa un numero imprecisato di volte negli ultimi documenti francesi.

L’Italia si farà fare i conti dai partner europei che potranno riscuotere a piacimento anche se le condizioni non sono peggiori di molti altri. Di questo però il Governo italiano non può incolpare nessuno se non se stesso. La cattiva gestione di adesso non viene smascherata solo perché la Bce, a pandemia in corso, non può far altro che difendere tutti a prescindere. Ma il momento dei conti è già nel mirino: fine 2021 o 2022. Non più tardi.

Sei mesi di tempo per la missione impossibile di raddrizzare la baracca dopo nove mesi di gestione scellerata e assenza di qualsiasi prospettiva economica e geopolitica culminata con la Legion d’onore consegnata al Presidente di un Paese che per anni ha cercato nonostante tutto la nostra partnership economica e politica.