Due documenti diversi, due firmatari diversi, ma conclusioni uguali. Quest’ultime, paradossalmente, trovano la loro evidenza nel medesimo numero di pagina dei due distinti rapporti diffusi nel corso della giornata che ci lasciamo alle spalle. La Commissione europea e il Fondo monetario internazionale hanno presentato le loro conclusioni rispettivamente attraverso la “Relazione preparata a norma dell’articolo 126, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea” (a firma della Commissione) e il “G-20 SURVEILLANCE NOTE/G-20 Finance Ministers and Central Bank Governors’ Meetings June 8-9, 2019 Fukuoka, Japan” (predisposto dal Fmi).



Si tratta di due elaborati che rappresentano l’attuale status di due differenti situazioni: se nel primo viene fatto esplicito riferimento all’Italia, nel secondo invece, si osserva l’intero panorama internazionale, ma, nonostante l’ampia veduta, ci si sofferma al nostro Paese.

A pagina 13 del documento della Commissione si sottolinea come «l’Italia è esposta a improvvisi aumenti dell’avversione al rischio sui mercati finanziari a causa dell’ancora elevato fabbisogno di rinnovo (circa 17% del Pil nel 2019) collegato al suo elevato debito pubblico. Come osservato a partire da maggio 2018, tali aumenti possono determinare una forte volatilità dei mercati delle obbligazioni sovrane e costi di servizio del debito notevolmente più elevati». Successivamente – in ottica di medio termine – si continua nell’analisi indicando come i rischi di sostenibilità potrebbero incrementarsi «in quanto una posizione di bilancio debole potrebbe aumentare ulteriormente i premi di rischio. Questa situazione è rilevata dall’analisi della sostenibilità del debito a medio termine (Dsa) e dall’indicatore di rischio S1 della sostenibilità di bilancio a medio termine16 della Commissione, che segnalano entrambi un “alto rischio”. A questa valutazione contribuiscono il livello elevato e crescente del debito previsto nel 2029 nello scenario di base e la sua sensibilità agli shock macroeconomici di bilancio».



Uno scenario che non può lasciare indifferenti. Un’indifferenza che – di fatto – lascia ancor più preoccupati tutti coloro che, leggendo l’altro rapporto a firma del Fmi, a pagina 14, leggono l’accostamento dell’Italia a due altri paesi lontani geograficamente, ma vicini economicamente: l’Argentina e la Turchia. Le tre nazioni «dovrebbero restare vigili su un alto risk premium» ossia la differenza di rendimento atteso da un determinato prodotto finanziario e quello di un altro prodotto privo di rischi. Ulteriore nota dolente per il Bel Paese, è la conclusione alla quale arriva lo stesso Fondo monetario internazionale: l’Italia, per via del suo debito, costituisce una delle “minacce principali” per l’economia dell’Eurozona assieme a un eventuale hard brexit e alle tensioni commerciali in atto. A quest’ultima considerazione, è giunta – in tarda serata – la smentita da parte di Domenico Fanizza quale nostro direttore esecutivo per l’Italia presso il Fmi. Nonostante l’addotta argomentazione dell’esponente italiano, la “sincronicità” di entrambe le istituzioni internazionali desta preoccupazione.



Come detto, testi diversi, autori diversi, e medesime conclusioni. Un caso? Potrebbe essere se circoscritto alla vita reale di tutti i giorni, ma, in finanza, accade molto raramente al pari del celebre detto di Agatha Chrisie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova».

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