Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, non ha dubbi: il divario economico tra Europa e Stati Uniti si sta ampliando e continuerà a farlo: «Se consideriamo il quinquennio post-Covid 2020-24 possiamo notare che la crescita cumulata per l’Eurozona sarà pari al 3,8%, mentre per gli Stati Uniti ammonterà al 9,4%».



A cos’è dovuto questo divario e perché pensa che crescerà?

Nell’Eurozona la domanda interna è molto debole, il che spiega anche il surplus commerciale in aumento, nel senso che non è tanto cresciuto l’export, quanto diminuito l’import. Le previsioni trimestrali della Commissione europea sono ogni volta più pessimistiche. Le ultime diffuse la scorsa settimana sono state riviste al ribasso dal +0,9% al +0,8% per il 2024 e dal +1,7% al +1,4% per il 2025. Negli Usa, invece, a parità di potenziale di natura politica ed economica, c’è una spesa per consumi estremamente dinamica, chiaramente trascinata da ampi deficit e investimenti pubblici, in contrasto con le politiche fiscali europee in un periodo in cui, tra l’altro, non sono ancora entrate in vigore le nuove regole del Patto di stabilità. È per questo che il divario tra le due sponde dell’Atlantico crescerà.



Cosa pensa della crescita dell’Italia, che nell’ultimo periodo è stata superiore o in linea con la media dell’Eurozona?

Tra il 2020 e il 2024, l’Italia registrerà una crescita cumulata del 5% circa, superiore quindi a quella dell’Eurozona, ed è di fatto la prima volta che accade in questo primo quarto di secolo. Questa performance così importante è dovuta principalmente a quanto accaduto nel 2022 (l’Italia è cresciuta del 3,9% contro il 3,4% dell’Eurozona) e nel 2023 (+0,9% contro +0,5%), gli anni del Superbonus, in cui la maggior crescita ha consentito di far scendere il rapporto debito/Pil sotto il 140%.



Si tratta di una misura che è stata molto criticata…

Non penso fosse una misura ottimale, anzi, come in altre occasioni si è speso male. Si poteva mettere in campo un provvedimento più efficace sia in termini di maggiore crescita che di minore spesa. Il punto è che per una volta c’è stata una politica fiscale quanto meno neutra, che non è quella di cui ha bisogno l’Italia, ma almeno non si tratta di quella follia chiamata austerità. Non è un caso, purtroppo, che quest’anno il differenziale di crescita positivo dell’Italia rispetto all’Eurozona verrà di fatto azzerato (+0,9% contro +0,8%, secondo Bruxelles) e il nostro rapporto debito/Pil tornerà a crescere. Basta poi leggere il recentissimo rapporto del Fondo monetario internazionale sul nostro Paese per capire dove siamo diretti, grazie anche a uno scenario europeo che non solo permette, ma obbliga all’austerità.

Qual è il suo giudizio sulle indicazioni per il nostro Paese arrivate dal Fmi?

Il Fmi suggerisce di accelerare il consolidamento fiscale, in particolare portando l’avanzo primario intorno al 3% del Pil in breve tempo. Vorrei ricordare che il Governo prevede, senza essere espansivo, di portarlo allo 0,3% nel 2025, all’1,1% nel 2026 e al 2,2% nel 2027. Di fatto servirebbe per l’anno prossimo una manovra restrittiva di quasi 50 miliardi di euro. Il Fmi, oltretutto, suggerisce di concentrarsi su riforme nel campo dell’istruzione per aumentare la produttività e di compiere uno sforzo fiscale per accogliere gli investimenti che stimolano la crescita. Le lascio immaginare che manovra sarebbe necessaria per recuperare le risorse necessarie e dove arriverebbe poi il rapporto debito/Pil. È vero che il Governo aspetterà l’esito delle elezioni europee per cominciare a segnalare le sue volontà, ma se la strada che intende seguire fosse questa possiamo abbandonare qualsiasi speranza che il gap strutturale tra il nostro Paese e il resto d’Europa, e conseguentemente tra Ue e Usa, si riduca.

A suo avviso, con queste indicazioni il Fmi anticipa quello che ci aspetta con la riforma del Patto di stabilità o va oltre?

Va oltre. E credo che sia un gioco delle parti, nel senso che si potrà dire che non metteremo in atto una politica austera come quella chiesta dal Fmi. In realtà, non sarà comunque quella di cui ha bisogno il nostro Paese, che necessita immensamente di investimenti pubblici, di un Pnrr che cominci a mordere: occorre una capacità di spesa decente, visto che è stato utilizzato solamente circa un quarto delle risorse a disposizione, con stazioni appaltanti forti.

Ursula von der Leyen ha detto di essere favorevole a fondi europei in cambio di riforme economiche nazionali. Cosa ne pensa?

È la stessa logica del Pnrr. Il problema del’Italia è che occorre mettere a posto la macchina amministrativa per spendere le risorse. Non è detto che le riforme che l’Europa chiede siano quelle di cui il Paese ha veramente bisogno. Sembra che non si capisca che la madre di tutte le riforme è rendere scintillante la Pa per il tramite di investimenti in personale. Chiaramente non si tratta di una riforma a costo zero, ma si ripagherebbe ampiamente grazie alla possibilità di mettere poi a terra le risorse per gli investimenti come quelle del Pnrr. A livello europeo si continua a pensare che l’economia possa essere trascinata solo dagli investimenti privati, ma occorrono anche quelli pubblici, come sta dimostrando il caso statunitense.

(Lorenzo Torrisi)

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