STOCCARDA – Martedì scorso ha avuto luogo il passaggio di consegne alla Bundesbank, dal presidente uscente Jens Weidmann al nuovo presidente Joachim Nagel, espressione del governo semaforico (dai colori dei partiti che compongono la coalizione: rosso per i socialdemocratici, giallo per i liberali, e naturalmente verde per i verdi). L’atto formale è stato accompagnato da una cerimonia disponibile in versione integrale sul canale Youtube della Bundesbank, a cui, sono sicuro, molti lettori del Sussidiario sono iscritti.
Alla cerimonia hanno presenziato esponenti del governo tedesco e dell’Unione europea ai massimi livelli. Il neo ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, ha ricordato che l’obiettivo del governo, a partire dal 2023, sarà ridurre l’indebitamento eccessivo prodotto dalle manovre anti-cicliche anti-Covid (precetto formalizzato anche nel contratto di coalizione). La presidente della Bce Christine Lagarde ha rassicurato l’azionista tedesco sull’impegno della banca centrale nel controllo dell’inflazione con misure e strumenti nuovi, che peraltro esistono e sono pronti all’uso. Il presidente uscente Jens Weidmann ha ammonito che le banche centrali non sono onnipotenti e non dovrebbero prendere decisioni che spettano al parlamento: un chiaro riferimento al programma di acquisto di titoli di stato dei Paesi membri.
L’ultimo a prendere la parola è stato Joachim Nagel, che ha pronunciato le parole più chiare (o meno diplomatiche). Occorre chiedersi, secondo Nagel, quanto durerà l’inflazione e se la politica monetaria espansiva della banca centrale è ancora appropriata. La Bce dovrebbe intervenire per ridurre il livello di rischio finanziario nell’Eurozona, anche in vista degli investimenti previsti per fronteggiare il cambiamento climatico e la digitalizzazione dell’economia. L’indebitamento dovrà essere ridotto in modo progressivo e prevedibile (e non parlava solo della Germania).
Qual è dunque il take-home message del passaggio di consegna ai vertice della Bundesbank? La parola chiave, ripetuta come un mantra, è “continuità”: in altre parole la linea della Germania deve rimanere invariata rispetto al decennio weidmanniano. E il primo obiettivo dovrà essere riportare sotto controllo l’inflazione, il cui indice ha registrato a dicembre un valore tra il 5 e il 6% in Germania (e valori simili nel resto dell’Eurozona).
Le cause del rialzo dei prezzi non sono chiarissime nemmeno per gli economisti. Sembrerebbero però riconducibili a un disallineamento tra un’alta domanda e una bassa offerta. La prima dovuta ai risparmi accumulati dai consumatori impossibilitati a spendere dai vari lockdown, e gonfiata dagli aiuti statali per combattere gli effetti nefasti della pandemia. La seconda causata dai ritardi introdotti nella catena logistica dai controlli e dalle misure anti-Covid, soprattutto in Cina, da cui porti salpano molti dei prodotti utilizzati dall’industria mondiale. Entrambi gli effetti sembrerebbero quindi transitori e, omicron permettendo, destinati a svanire nei prossimi mesi, riportando la situazione sui binari della normalità.
È questo ufficialmente il motivo per cui, a differenza della Fed, la Bce non ha per ora intenzione di intervenire (un’asimmetria tra le due sponde dell’Atlantico che, secondo Ulrich Leuchtmann di Commerzbank, potrebbe creare tensioni sul mercato valutario). L’altro motivo (quello vero) per cui la Banca centrale europea non interviene è che un rialzo dei tassi di interesse metterebbe in difficoltà i Paesi del Mediterraneo, il cui rapporto debito/Pil è aumentato nel corso della pandemia. Il controllo dell’inflazione rappresenterebbe teoricamente l’unico obiettivo di Francoforte, ma tale obiettivo è passato in secondo piano rispetto alla necessità di sventare il rischio di speculazioni finanziarie contro i Paesi del Club Med, Italia in primis.
Riassumendo, la strategia di Nagel punta a innescare un processo di irrigidimento progressivo della politica monetaria, riducendo contestualmente il programma di acquisto dei titoli di stato dei Paesi membri. Questo porterebbe a un graduale aumento dei tassi di interesse, che “costringerebbe” i Paesi indebitati a ridurre l’indebitamento. Questa, vale la pena di sottolineare, è la posizione standard della Germania, di matrice luterana: usare gli strumenti a disposizione per mettere pressione ai Paesi latini, considerati incapaci di autodisciplina e naturalmente inclini al cazzeggio.
Il problema è che la platea dei Paesi indebitati negli ultimi anni si è notevolmente allargata: oltre all’Italia (che in questo campo è sempre stata all’avanguardia) ne fanno ormai parte stabilmente anche Spagna e Francia. La strategia di Nagel è in rotta di collisione con le varie proposte di riforma dei criteri di Maastricht che aleggiano nell’aria: un potenziale conflitto che dovrà necessariamente essere risolto all’interno dell’Unione. La decisione di restare uniti, in un mondo dominato dalla competizione tra Usa, Cina e altri giganti, appare infatti irreversibile.
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