L’andamento positivo dei listini azionari, ancor più la carica dei risparmiatori proiettati di nuovo agli acquisti di titoli del debito del Bel Paese, rappresenta un’iniezione di fiducia inattesa per l’Italia. Del resto, al contrario dei timori largamente diffusi, l’economia cresce. Non di molto, ma meglio di Francia e Germania, grazie al turismo ma anche all’eccezionale espansione dell’export, frutto dell’accelerazione delle aziende verso produzioni a maggior valore aggiunto. Resta alta la preoccupazione per i conti pubblici, sottoposti allo stress di tassi in costante ascesa. Ma l’insospettabile parsimonia del Governo ha finora convinto i mercati che apprezzano la stabilità dell’Esecutivo, più saldo in sella (anche grazie alla debolezza dell’opposizione) di altri.



Un quadro quasi rosa, in forte contrasto con le preoccupazioni di un anno fa, quando la prospettiva dell’uscita di scena di Mario Draghi veniva evocata con toni apocalittici. Nulla di questo è successo. In parte non piccola per merito dello stesso Draghi, che ha senz’altro aiutato il nuovo Governo a presentarsi sia a Bruxelles che a Washington con le credenziali giuste per sostenere una linea politico/diplomatica atlantica, fedele nel sostegno a Kiev, attiva sugli scacchieri più vicini, Africa in testa, meno ambigua nei confronti di Mosca e Pechino dopo i cedimenti giallo/verdi.



Ancor oggi, lontano solo all’apparenza dai riflettori, Draghi rappresenta un punto fisso per l’ancoraggio dell’Italia a una politica che sappia pesare in un clima se possibile ancor più turbolento, al di là dell’ottimismo di facciata. Per questo merita riflettere sul suo recente intervento in occasione di un premio ricevuto al Mit.

Draghi ha usato l’occasione per fare il punto sullo stato del pianeta, dopo la pandemia ma in presenza di un conflitto, quello in Ucraina, che non offre per ora la speranza di sbocchi positivi. Di fronte a una situazione, quella dell’emergenza climatica, che richiederebbe un ben altro uso delle risorse. Non meno grave, la crisi della speranza che l’economia globale, garantendo l’aumento della ricchezza per tutti, avrebbe favorito il trionfo della democrazia. Non è andata così, è l’autocritica di uno dei grandi protagonisti di quel sogno: la Wto, l’organismo che avrebbe dovuto vigilare sull’impatto della Cina sugli equilibri sociali, non solo economici, dell’economia globale, ha fallito il suo compito. I Governi, inebriati dalle risorse rese disponibili dal calo dei prezzi, non sono riusciti a gestire un fenomeno che per molti, specie nella classe media, ha rappresentato un impoverimento e l’aumento dell’incertezza.



Di qui una dose di realismo che sa di doccia fredda per le promesse futili che rimbombano nelle chiacchiere quotidiane della retorica politica. In particolare, per citare l’ex presidente del Consiglio: “Le sfide che affrontiamo – dalla crisi climatica alla necessità di rafforzare le nostre catene di approvvigionamento più sensibili alla difesa, soprattutto nell’Ue – richiederanno investimenti pubblici sostanziali che non possono essere finanziati solo tramite aumenti fiscali. Questi livelli più elevati di spesa pubblica metteranno ulteriore pressione sull’inflazione, oltre ad altri possibili shock dell’offerta da energia e da altri beni”.

E ancora: “A lungo termine, è probabile che i tassi di interesse siano più elevati rispetto a quelli dell’ultimo decennio. Allo stesso tempo, la bassa crescita potenziale, i tassi più elevati e i livelli elevati di debito post-pandemico sono un cocktail volatile – e banche centrali più tolleranti con l’inflazione non saranno la soluzione”.

Per evitare che questa medicina, destinata a durare a lungo, non si traduca in nuove ingiustizie, ci vorrà la mano forte della politica: “I Governi, gli Stati e le istituzioni devono rispondere in modo proattivo per garantire l’inclusione e la protezione di tutti coloro che sarebbero negativamente colpiti da questi sviluppi”. Può darsi che lo sviluppo della tecnologia possa accelerare le soluzioni. Ma non è il caso di illudersi. Se l’inflazione non continuerà a scendere, le banche centrali si troveranno a dover scegliere tra recessione e accettazione di fatto di un’inflazione al di sopra dei loro obiettivi ufficiali. Non faranno una scelta netta, ma nella pratica cercheranno di evitare la strada della recessione. Se sarà così ai mercati piacerà, ma il prezzo da pagare sarà una crescita dell’economia molto bassa per un lungo periodo.<

Insomma, come ha scritto Mario Deaglio nel recente rapporto sul mondo post global: “Viviamo, nel migliore dei casi, sulla soglia di un’era che può essere definita ‘a somma zero’: sempre più i benefici che un Paese ottiene sono il risultato di sottrazioni ad altri Paesi”. A meno che non si adotti una regola che sta nel titolo del rapporto: Dal mito dell’abbondanza all’economia dell’abbastanza”, Per tutti, naturalmente.

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