Riuscirà Giorgia Meloni far quadrare il cerchio tra promesse elettorali e pressioni delle lobby vicine al Governo e a superare la diffidenza dei mercati e le scadenze autunnali che incombono, in Europa ma non solo?
La prospettiva di un autunno caldo per l’Esecutivo si è fatta drammaticamente concreta a mano a mano che si è accentuato il calo delle entrate fiscali, fenomeno in atto dallo scorso settembre a fronte del rallentamento della crescita, ed è proseguita la dinamica della spesa in salita anche per fronteggiare i guasti dell’inflazione sulle fasce deboli. Il risultato, c’informa Federico Fubini, è che il piatto della finanza pubblica soffre sempre di più. Gli italiani stanno versando meno imposte di quanto uno poteva aspettarsi; per essere un po’ più precisi, data la crescita e l’inflazione dell’ultimo anno, si poteva immaginare che a questo punto lo Stato avrebbe avuto quasi il 10% di entrate fiscali in più rispetto a ciò che gli italiani hanno concretamente versato. E, espresso in euro, questo 10% scarso equivale a un po’ più di 20 miliardi: esattamente quanto manca nel fabbisogno da presentare prossimamente a Bruxelles.
Brutto affare, e non solo perché l’appuntamento coinciderà con le trattative sul rinnovo del Patto di stabilità che l’Italia vuole ampiamente rivedere o con l’avvio della campagna elettorale più complessa nella storia dell’Ue, condizionata dalla forte ascesa delle destre. A complicare i giochi sul piano finanziario sarà l’atteggiamento delle autorità monetarie. La Bce, infatti, si appresta a chiudere del tutto i rubinetti degli acquisti di titoli che, da Mario Draghi in poi, hanno sostenuto il collocamento dei Btp. Non solo. Sulle banche, già colpite dalla norma sugli extra-profitti, incombe l’onere della restituzione a Francoforte dei prestiti Tltro prevista per la fine dell’anno. Una scadenza che torna a turbare i mercati, sorpresi dal giro di vite sui presunti extra-profitti: il blitz, comunque lo si valuti, ha inflitto un duro colpo all’immagine del Governo, aggravata dall’assenza alla conferenza stampa del ministro Giancarlo Giorgetti. È la seconda volta che il ministro della Lega, garante della linea di continuità con Draghi, viene clamorosamente smentito dal suo Governo: era successo sul Mes, ora l’Esecutivo si rimangia la promessa del suo ministro sulle banche. Errare humanum est, perseverare diabolicum.
In questo quadro, va detto, la tenacissima Giorgia si muove da par suo. Raccoglie soldi dalle banche, contando sul consenso dell’opposizione, così come tampona la fuga dei capitali, legata al Reddito di cittadinanza. Non rinuncia a sviluppare una linea di politica industriale marcatamente nazionalista con il rientro nella partita delle tlc in combinazione con un private Usa, Kkr (un aiuto da ripagare con l’uscita dall’accordo con Pechino sulla Via della Seta).
Tanto attivismo, insomma, accompagnato dal fumo dell’italianità, artificio retorico che tanto piace a un popolo sfibrato da un quarto di secolo di mancato sviluppo, dalle tirate contro i guadagni “ingiusti”e da quanto accompagna il comune sentire di un elettorato sempre più propenso alla disperazione che al buonsenso. Dietro a tutto questo c’è una disperata fame di denaro che non c’è. Proprio quando si fanno più pressanti le richieste delle categorie, dai bagnini a tassisti che rivendicano il rispetto del voto dello scorso settembre. Per non parlare dell’ipoteca degli strascichi del superbonus al 110%, piuttosto che il miraggio della flat tax.
A tutto questo la Premier risponde con una tattica geniale, ma dal fiato corto: tassazione a colpi di una tantum (vedi banche), combinata a manovre estemporanee e straordinarie per finanziare detassazioni pro tempore a corto raggio per rispettare le scadenze, elettorali e fiscali. Una formula che verrà replicata sul fronte dei salari, grazie alla promessa di detassare gli aumenti di stipendio (vedremo come). Fino a quando funzionerà il gioco? Probabilmente finché i mercati non andranno a vedere il bluff, chiedendo conto di una politica che, al pari di quanto praticato dai Governi passati (con l’eccezione di Draghi), nemmeno ci pensa a fare riforme vere.
No, il Governo non è a rischio. E non solo per l’inconsistenza delle opposizioni. Giorgia Meloni sa che a tenerla in sella basta per ora il sostegno Ue alla politica pro-Ucraina. Ma dovrà al più presto recuperare la fiducia dei mercati, cioè di coloro che prestano i soldi senza i quali il nazionalismo un po’ farlocco non regge: una sedia con una gamba in meno, prima o poi va giù.
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