In un momento in cui aumenta il numero delle regioni in zona rossa o arancione, e conseguentemente crescono i ristori da erogare alle attività sottoposte a limitazioni, può essere rassicurante sapere che sul conto di Tesoreria a fine ottobre c’erano, come ricorda Domenico Lombardi, ex consigliere economico del Fondo monetario internazionale, «68 miliardi di euro, una cifra molto più consistente rispetto ai 23 miliardi del 31 ottobre 2019. Dato il persistere dell’emergenza pandemica è tuttavia importante non solo attivare forme di ristoro, ma velocizzarne l’effettiva erogazione».



L’opposizione propone misure di alleggerimento della pressione fiscale per le imprese colpite dalla crisi. Il saldo di Tesoreria potrebbe essere usato per coprire il mancato gettito?

La priorità deve essere salvaguardare il tessuto sociale ed economico del Paese già gravemente provato. Il saldo di Tesoreria è particolarmente elevato e, inoltre, l’Italia è in grado di raccogliere sui mercati ulteriore liquidità in misura importante e a tassi assai competitivi. Questo offre la possibilità di stanziare risorse a fondo perduto o di gestire in modo flessibile le varie scadenze fiscali per supportare le imprese. C’è poi un altro aspetto da sottolineare guardando alla somma che giace inutilizzata e a titolo oneroso sul conto di Tesoreria.



Quale?

Continuo a leggere sui media commenti secondo cui il nostro sistema sanitario sarebbe sotto stress perché non si è fatto ricorso al Mes sanitario. Credo che il persistere di una liquidità su valori così elevati sul conto di Tesoreria provi che se c’è qualche problema nel sistema sanitario non è riconducibile alla mancanza di risorse alternative a quelle del Mes.

Come ricordava prima, l’Italia riesce a finanziarsi sui mercati a condizioni vantaggiose. Questo grazie alla Bce. Secondo Reuters si sta pensando però di sottoporre gli acquisti di titoli di stato, nell’ambito del programma Pepp, a condizionalità.



Probabilmente queste indiscrezioni sono riconducibili a quanti malvolentieri accettano che il Pepp rappresenti effettivamente una preziosa fonte di sostegno per le economie meridionali dell’Eurozona, in particolare per l’Italia. Sarebbe però difficile concepire una struttura di condizionalità attorno al Pepp.

Perché?

Perché il Pepp nasce innanzitutto per contrastare l’impatto deflazionistico della pandemia. Non dobbiamo dimenticare che l’obiettivo inflazionistico della Bce, disatteso dal 2013, è di un tasso al di sotto ma vicino al 2%, mentre oggi siamo vicini allo 0%. Dunque è difficile pensare a una struttura di condizionalità per un programma che ancora non ha raggiunto il suo fine. Immagino che una Bce che nella gestione della pandemia è stata estremamente proattiva, generando benefici per i Paesi più colpiti come l’Italia, crei dei malumori tra i cosiddetti rigoristi che vorrebbero che questi aiuti venissero condizionati a una qualche forma di commissariamento macroeconomico. Ci hanno provato con il Mes, ora cercano di utilizzare le politiche monetarie della Bce per provare a ottenere lo stesso risultato. Chiaramente qualcuno vuole mandare dei segni di allarme, e di discordia, ai Paesi che di tali politiche stanno maggiormente beneficiando. Paesi che, purtroppo, sono anche quelli più colpiti dall’emergenza pandemica.

Forse, vista la scelta di Spagna e Portogallo di rifiutare le risorse a prestito, ci provano anche con il Recovery fund…

Sì, probabilmente questo è il motivo che soggiace alla decisione di Madrid e Lisbona. A maggior ragione, quindi, i rigoristi spingono per introdurre altre forme di condizionalità per i Paesi meridionali dell’Eurozona. Il Pepp però non è l’Omt introdotto da Draghi per far fronte a una crisi asimmetrica che aveva colpito in particolare i Paesi periferici, compromettendone l’accesso ai mercati. La crisi odierna è simmetrica e colpisce tutti. Prova ne è la sospensione del Patto di stabilità e crescita decisa di comune accordo in seguito all’emergere della pandemia.

L’azione della Bce è quella che sta portando i Paesi periferici a non ricorrere al Mes e a rifiutare i prestiti del Recovery fund. È per questo i rigoristi cercano di limitarla?

Esattamente. Dato che l’Italia è in grado di raccogliere liquidità sul mercato senza difficoltà e a tassi particolarmente convenienti, il dibattito sul Mes dal punto di vista economico e finanziario, ma non politico, è superato. La condizionalità del Recovery fund non è immediata, si materializzerà solo nel momento dell’erogazione dei fondi e, ovviamente, nella selezione dei progetti. I rigoristi stanno quindi cercando ulteriori leve per influenzare le politiche economiche di alcuni Paesi come il nostro. C’è da evidenziare che l’azione non convenzionale della Bce sta anche mutando i giudizi delle agenzie di rating, che hanno cominciato a incorporare in modo esplicito questa azione di supporto nelle loro valutazioni, al punto da migliorarle, come avvenuto per l’Italia con Standard & Poor’s o per la Grecia con Moody’s.

L’annuncio dato sul vaccino da Pfizer lascia intravvedere il ritorno a una situazione di normalità. Questo potrebbe aiutare i rigoristi nella loro offensiva?

In un certo senso sì, perché quando l’emergenza sarà superata, la Bce si ritroverà in portafoglio moltissimi titoli di stato dei Paesi cosiddetti “periferici” e i rigoristi saranno preoccupati di non poter controllare appieno le scelte di politica economica di questi Paesi, vista l’esposizione dell’Eurotower nei loro confronti. Anche perché la Bce, una volta arrivati in scadenza i titoli, ne reinvestirà la quota capitale per i prossimi anni.

Una volta che l’emergenza sarà superata, la Bce riuscirà a portare avanti politiche espansive?

Chiaramente dipenderà dallo scenario che caratterizzerà i rapporti tra gli Stati più indebitati, come l’Italia, e l’Europa. Possiamo realisticamente immaginare che la Bce, dato l’aumento generalizzato dei debiti pubblici dei Paesi membri (basti pensare che la Francia a fine 2020 arriverà poco sotto il 120% nel rapporto debito/Pil), porrà in essere dei meccanismi di facilitazione nella gestione di tali debiti.

Dato il generale aumento dei debiti pubblici europei, è ipotizzabile, com’è stato del resto proposto, una loro parziale cancellazione?

Ritengo improbabile che questa ipotesi possa concretizzarsi perché solleva problemi distributivi che, in assenza di un’unione fiscale, sono insormontabili per l’Eurozona. È sicuramente più facile pensare a meccanismi che, tenendo bassi i tassi di interesse, facilitino il rollover del debito grazie a una Banca centrale che rimarrà significativamente attiva sul mercato secondario dei titoli di Stato, fornendo liquidità e, di fatto, agevolandone il collocamento. Questo ovviamente richiede la capacità da parte dei Governi europei, specie quelli con debito più elevato come il nostro, di sapere dialogare in modo profittevole con i mercati e con i loro attori, come le agenzie di rating.

Sarà importante però anche il rapporto con la Commissione europea.

La fase post-pandemica richiederà certamente una maggiore capacità di dialogo anche nei confronti degli attori istituzionali europei, dalla Bce alla Commissione. Questo naturalmente non vuol dire accettare in modo acritico tutto quello che promana da Bruxelles. Disaccordi o disallineamenti, che già ci sono e che probabilmente si amplieranno nel prossimo futuro, dovranno essere risolti evitando contrapposizioni frontali, ma lavorando con tenacia, persistenza e competenza all’interno del sistema, utilizzando, insomma, le stesse leve degli eurocrati, ma piegandole a favore dell’interesse nazionale.

Non avrà però senso cercare di risolvere il problema del debito con un convergenza al pareggio di bilancio.

L’impennata dei debiti pubblici, a fronte di politiche fiscali espansive per fronteggiare gli effetti della pandemia, difficilmente potrà essere contrastata, in un secondo tempo, con politiche di austerità che tendono principalmente a tagliare il deficit. Detto in altri termini, non si può pensare che un debito pubblico al 160% del Pil o più possa essere ridotto tramite l’avanzo primario, limando la spesa pubblica e aumentando al margine le imposte.

Come si potranno allora rendere sostenibili debiti pubblici tanto elevati?

Otre ai meccanismi di facilitazione nella gestione del debito della Bce di cui parlavo prima, occorre creare le condizioni per una maggiore crescita del Pil. Al netto delle polemiche sulla reale efficacia e tempestività degli aiuti europei, in questi mesi il dibattito sta mettendo sempre più al centro l’esigenza di assicurare maggiore crescita. Sarebbe quindi imperdonabile se si ritornasse a una situazione come quella pre-Covid in cui l’enfasi non solo era sul numeratore del rapporto debito/Pil, ma addirittura sul deficit di un singolo anno. Serviranno politiche fiscali di medio periodo orientate alla crescita, verificando in che termini contribuiscano a stabilizzare il quadro di finanza pubblica. Credo che l’emergenza pandemica abbia mostrato a tutti che un eccesso di attenzione solo sulle variabili di finanza pubblica, e a breve termine, non premia.

(Lorenzo Torrisi)