Si è fatto un gran parlare di “Paesi frugali”, che non sempre frugali sono. Ma c’è un’altra frugalità che coinvolge le abitudini di milioni si consumatori e investitori. Si assiste in questi mesi a un forte aumento della propensione al risparmio, che discende dall’incertezza generale e che modifica nel profondo le abitudini dei consumatori. È un fenomeno generale che tocca un po’ tutte e aree dell’economia globale.



La Cina, in questi anni insaziabile cliente del lusso, stenta ad aprire i portafogli nonostante la ripresa della produzione industriale (+3,2% nel secondo trimestre). E gli effetti si sono già fatti sentire: Richemont, il colosso dell’hard Luxury (Cartier, Baume & Mercier, Jaeger), ha dimezzato le vendite di fronte alla ritirata dei compratori asiatici. E che dire dei consumatori Usa? Mai sottovalutare il consumatore americano e la sua voglia di spendere hanno ripetuto per decenni gli economisti: nel 1998, quando il mondo si trovò sull’orlo di una recessione globale, la ripresa fu protetta dalla propensione al consumo degli Stati Uniti. Questa volta però qualcosa si è inceppato, almeno per il momento. Gli americani risparmiano come non hanno mai fatto. E chi non risparmia “gioca”, ovvero specula, acquistando titoli a Wall Street dove stanno affluendo molti dei fondi stanziati dal Tesoro a sostegno dei redditi.



Sul palcoscenico del Nasdaq primeggia Tesla, sostenuta dagli acquisti (e dalle vendite) di decine di migliaia di piccoli speculatori che investono in Borsa parte dei sussidi (circa 2mila dollari al mese), mentre la ripresa segna il passo. La casa di investimenti Jefferies ha commissionato un sondaggio tra i consumatori e tra le tante cose interessanti una balza all’occhio. Mentre in maggio, quando il momento di massima preoccupazione per il Covid era già alle spalle, il 52% aveva comunque deciso di passare a casa le vacanze estive, oggi (il sondaggio è recentissimo) la percentuale è addirittura salita al 60%. Insomma, la ripresa ci sarà, non si sa bene quando, ma non sarà a V perché i consumatori, stressati dall’epidemia, impauriti dalle tante emergenze e dal timore che le nuove tecnologie produrranno più disoccupazione e disagi specie per le nuove generazioni (l’ascensore sociale si è fermato negli Usa, ma anche in Oriente, per non parlare dell’Italia) hanno tirato i remi in barca. E gli animal spirits del capitalismo soffrono, disdegnando gli incentivi dei governi, come dimostra la scarsa domanda di liquidità. Il Financial Times calcola che la Fed abbia fin qui impiegato solo il 4% della sua potenza di fuoco, composta da 11 linee di credito da complessivi 2.600 miliardi di dollari.



La ripresa, certo, ci sarà. Ma non dipenderà solo dal Santo Graal del vaccino, anzi dei vaccini in competizione che conquisteranno la fiducia solo nel tempo. Vedremo di nuovo i consumi, ma probabilmente saranno orientati verso beni durevoli e utili. Ci sarà meno voglia di ostentazione. Sarà importante per le aziende (made in Italy in testa) la capacità di abbinare la ricerca del bello a quella di valori meno effimeri, eredità positiva di una stagione difficile che ha segnato una frattura netta negli stili di vita.