Venerdì Moody’s avrebbe dovuto pubblicare un aggiornamento sul rating del debito italiano. Invece la decisione è stata posticipata. Moody’s è l’agenzia di rating con il giudizio peggiore delle tre principali e qualsiasi downgrade le farebbe perdere l'”investment grade”. Oltretutto Moody’s ha un “outlook negativo” sul debito italiano. Il non aggiornamento del rating è una buona notizia perché in questa fase i rischi di peggioramento sono superiori alle possibilità di un miglioramento. La “non decisione” è nei fatti un aiuto al Governo Meloni e un’occasione per guadagnare tempo.
Nell’attuale scenario tutti i debiti pubblici attraversano una fase critica. Negli ultimi due anni i debiti pubblici sono esplosi perché i Governi hanno attuato politiche fiscali espansive per ovviare ai problemi economici causati dai lockdown. Il debito pubblico italiano, per esempio, è salito di venti punti di Pil nel 2020, in linea con Spagna e Francia, quello americano di circa 23 punti di Pil. L’impatto di questo incremento sui costi pubblici era contenuto quando i tassi di interesse erano ai minimi storici e persino l’Italia riusciva a emettere debito a dieci anni sotto l’1%. Oggi, invece, i tassi di interesse sono esplosi in seguito al rialzo dell’inflazione. Più l’inflazione rimane elevata, più i tassi rimangono alti e più il mercato guarda con sospetto i debiti emessi dagli Stati.
Per uscire dalle politiche fiscali attuate durante gli anni dei lockdown bisognerebbe aumentare le tasse o diminuire la spesa sociale e questo ovviamente è un male per l’economia e per la pace sociale. Gli elettori difficilmente premieranno i Governi che tagliano sussidi e bonus oppure che aumentano le tasse. L’inflazione che gonfia le entrate fiscali è una tassa mascherata. Finché i risparmi accumulati nel 2020-2021 durano e fino a che l’economia tira c’è un sentiero stretto per tenere insieme tutto. Se, invece, l’economia rallenta, i problemi crescono esponenzialmente.
L’Italia in questo scenario è più in difficoltà di altri Paesi; il suo debito pubblico è più alto, l’imposizione fiscale è ai massimi, i bonus e i sussidi vengono ritirati, pensiamo alle accise sulle benzina, e la spesa sociale e pensionistica è già stata falcidiata. Non sono rimasti molti margini di manovra. La crisi energetica, in conseguenza delle sanzioni contro la Russia, ci ha lasciati con prezzi dell’elettricità che sono il doppio di quelli del 2019. La ristrutturazione delle catene di fornitura globale nel breve termine è un rischio per un Paese abituato a commerciare con tutti e nel lungo termine può essere un’opportunità solo a patto di abbassare i costi energetici e di garantire alle imprese che investono stabilità fiscale e regolamentare. Si potrebbe immaginare una ristrutturazione profonda della macchina pubblica e della burocrazia, ma è un compito politicamente molto complicato che si scontra con problemi e sacche di rendita decennali.
La crisi dei debiti sovrani è un rigore a porta vuota delle previsioni economiche. Riguarda, lo vediamo in questi giorni con le discussioni sul tetto del debito americano, gli Stati Uniti in primis e poi a “scendere” tutti gli altri. Trovare una soluzione che accontenti elettori e mercati e che preservi l’economia non è facile. Tutti i Paesi europei verranno coinvolti da questa sfida che è una minaccia per le democrazie e per il sistema sociale che conosciamo.
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