Un sospiro di sollievo: non che ci si aspettasse una sorpresa negativa dopo Standard and Poor’s, ma con le agenzie di rating c’è poco da scherzare. Invece l’Italia ha passato anche l’esame di Fitch. Venerdì prossimo toccherà a Moody’s che è senza dubbio la più arcigna delle tre parche che tengono i fili del debito pubblico e spiegano ai risparmiatori se è sicuro e se conviene comprare i titoli emessi dai diversi paesi. Fitch ha confermato la valutazione BBB così come S&P, aggiungendo un outlook stabile. Dunque, è andata bene, ma piano con i festeggiamenti, con le tre B non c’è da stappare champagne e nemmeno prosecco, più giù c’è soltanto il casinò dei titoli ad alto rischio, quelli considerati “spazzatura”, come si dice in gergo.
Il debito dello Stato italiano resta troppo alto, il quarto al mondo in rapporto cl prodotto lordo, dopo Giappone, Grecia, Venezuela e prima degli Stati Uniti dove è in atto un braccio di ferro tra Casa Bianca e Congresso, tra potere esecutivo e potere legislativo dal quale dipende secondo la Costituzione il potere di indebitarsi, un conflitto che divide democratici e repubblicani e rischia di sollevare un’onda di instabilità nei mercati finanziari mondiali, anzi di provocare una vera e propria crisi secondo Janet Yellen, l’economista che occupa la sedia di segretario al Tesoro.
Nel 2010-2011 furono i debiti della Grecia, della Spagna e dell’Italia a innescare la battaglia degli spread portando la repubblica ellenica al crac e sull’orlo del default Spagna e Italia con un effetto politico drammatico: si dimise Silvio Berlusconi e fu battuto alle urne Luìs Zapatero. Adesso l’allarme arriva da oltre Atlantico, a dimostrazione del potere deflagrante del debito, ancor più oggi che, per rispondere alle crisi finanziarie e poi alla pandemia, tutti i Paesi si sono indebitati e alcuni più di altri. L’Italia tra il 2010 e il 2022 è passata da 119% a 144%, la Francia da 85% a 111%, la Spagna da 60% a 113%, gli Usa da 100% a 129%.
Si è diffusa negli ultimi tempi la convinzione che indebitarsi non è un gran problema se si è in grado di pagare gli interessi, cioè se la crescita di un Paese genera risorse superiori al costo annuo del debito. Con una variante ancor più radicale: basta stampare moneta a piacimento e poi tutto va a posto. Mario Draghi ha tracciato una linea rossa tra debito buono e debito cattivo, il primo è quello che serve a sostenere lo sviluppo, il secondo è quello che si consuma senza produrre nuova ricchezza. Il debito buono è quello acceso per il Pnrr, un debito europeo, con tempi di restituzione lunghissimi e a costi che a questo punto sono irrisori, circa l’1%, mentre oggi sul mercato siamo al 4,5%. Ma attenzione, è debito buono solo se genera cose concrete, se i progetti diventano opere pubbliche, se gli impegni si trasformano in cantieri. E questo in Italia, il Paese che ha ottenuto molto più di ogni altro, non si è ancora verificato. Gli uffici studi del Senato e della Camera hanno calcolato che il Pnrr peggiora il deficit pubblico di 55,6 miliardi di euro, non di tutti i 122 miliardi presi in prestito, perché una parte è destinata a finanziare spese già incluse nel bilancio pubblico. Ma sia i fondi freschi sia gli altri se non vengono impiegati produttivamente non aumentano il valore aggiunto del Paese.
Le agenzie si basano su indicatori molto precisi: la crescita, il debito, la stabilità politica e oggi, soprattutto per quel riguarda l’Italia, lo stato di attuazione del Pnrr. La crescita sta andando meglio del previsto, ma attenzione c’è il serio rischio che scenda rapidamente nella seconda parte dell’anno, così che la media sarà di appena 0,4% secondo S&P che pure ha confermato il rating (resta sempre a BBB due gradini sopra la “spazzatura”). Più critici gli analisti di Moody’s, secondo i quali il debito italiano è appena un gradino sopra il livello speculativo (l’ultima valutazione è Baa3 con prospettive negative), ciò vuol dire che diventa difficile consigliare i Btp a chi cerca un investimento sicuro. Fitch ha apprezzato in particolare la stabilità politica: “Il Governo gode di una maggioranza stabile in Parlamento e di un forte sostegno tra gli elettori. Alla luce di ciò e dell’opposizione frammentata, riteniamo possibile che il governo duri un’intera legislatura, cosa non comune nel sistema politico italiano”, scrive l’agenzia. Tuttavia, “la coalizione potrebbe dover affrontare pressioni per mantenere più impegni di spesa della campagna elettorale, soprattutto quando il sostegno al costo della vita finirà e la perdita del potere d’acquisto diventerà più evidente, il che può rappresentare un rischio per le prospettive di risanamento fiscale”.
Il debito conta, dunque, eccome; è la cambiale che ogni Governo firma con chi gli presta i quattrini, che non sono pochi banchieri strapagati, ma una massa enorme di risparmiatori nei rispettivi Paesi e nel mondo intero. Il debito nazionale è in mano soprattutto agli italiani (il 47%) in piccola parte (8%) direttamente, ma per lo più attraverso le istituzioni finanziarie. Il 25,8% è detenuto dalla Banca d’Italia per conto della Bce che ha deciso di interrompere gli acquisti di nuovi titoli e non rinnovare quelli in scadenza. Si tiene quelli che ha, a patto che il Paese sia sempre in grado di onorare i propri impegni. Nella loro storia delle crisi da debito, gli economisti americani Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff mostrano che l’Italia non ha mai fatto default, ma molto spesso ha danzato sull’orlo dell’abisso. Se si analizzano le pagelle del debito dagli anni ’90 in poi si vede che c’è stato un forte declassamento dopo il 2011 e l’Italia non ha più recuperato i valori precedenti. Saremo fuori pericolo solo se riusciremo a risalire davvero.
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