La 32esima edizione del seminario economico internazionale di Villa Mondragone – animato dal Gruppo dei 20 (economisti e giuristi) sotto la presidenza di Luigi Paganetto – lancia un segnale che andrebbe raccolto: in Europa si aprono nuovi spazi politici che l’Italia potrebbe e dovrebbe occupare tra Francia e Germania.
È la tesi più volte sostenuta dalla Confindustria di Vincenzo Boccia – che non a caso aveva intensificato le occasioni di confronto con le omologhe organizzazioni imprenditoriali (e il successore Carlo Bonomi sembra condividerne lo spirito) – e che oggi esce rafforzata dalla presenza di Mario Draghi a palazzo Chigi.
Insomma, c’è spazio e ruolo per l’Italia nell’Europa del futuro anche perché lo schema della principale istituzione post-pandemica, conosciuta con il nome di Next Generation Eu, è tagliato su misura per il nostro Paese: primo beneficiario e massimo ispiratore della filosofia anti-rigorista in tempo di crisi economiche.
Naturalmente che si apra un’opportunità non vuol dire che sia colta. Per farlo bisogna mettersi all’altezza della sfida e guidare delicati processi politici approfittando della circostanza che la Germania dovrà presto rinunciare alla sua condottiera Angela Merkel e che in Francia Emmanuel Macron è atteso all’incognita del voto.
Per una volta il timone della barca comune, da molto tempo impegnata in acque sconosciute e pericolose, potrebbe essere impugnato dal Premier italiano che per reputazione e autorevolezza sorpassa tutti possedendo inoltre, per i suoi trascorsi alla Banca centrale europea, l’unico profilo autenticamente continentale.
Quello che ci attende è la riforma del Patto di stabilità e crescita (Confindustria aveva suggerito di anteporre la crescita alla stabilità) una volta che le economie degli Stati nazionali si saranno riprese dallo shock da Covid recuperando il terreno perduto e portandosi dove sarebbero arrivate se non fossero state infettate dal virus.
Questa specie di codice di comportamento è il software che dovrà far funzionare la nuova Europa. Che non potrà più consentirsi il lusso di essere la somma degli interessi nazionali, ma dovrà conquistare quella condizione di unità politica che oggi manca nonostante le tante buone intenzioni espresse nei libri e nei convegni.
La decisione di emettere debito comune per sostenere i Piani di recupero varati da ogni singolo Paese è certamente un buon passo verso il rafforzamento dell’integrazione nel cammino che ci porterà a un destino condiviso. Anche perché il rischio di fare il vaso di coccio tra quelli di ferro (Usa, Cina, Russia) è più che attuale.
Per essere decisivi in un’Europa che abbandoni il suo abituale stato anemico (copyright Gruppo dei 20) per esibire quello energico auspicato occorre prima di tutto fare i compiti a casa e non sbagliargli. Il che vuol dire indovinare investimenti pubblici e riforme che richiamino in servizio i capitali privati che dormono.
E vuol dire saper poi alzare lo sguardo oltre i confini (noi e anche gli altri) per dare vita a progetti infrastrutture e imprese che vedano la collaborazione e la partecipazione di più partner e assumano quella dimensione sovranazionale che è il minimo indispensabile per essere protagonisti sul palcoscenico mondiale.
Le raccomandazioni finali del simposio di Villa Mondragone – la cui giornata conclusiva si è significativamente svolta presso la Farnesina – contengono indicazioni su come dovrebbero essere ripensati i rapporti tra Stato e mercato (nel puntare sulle tecnologie verdi e digitali) evitando di disperdere risorse in imprese e iniziative zombie.
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