Il giorno dopo il quarto rialzo consecutivo dei tassi dello 0,75% (arrivati così in un intervallo tra 3,75% e 4%) da parte della Federal Reserve, Christine Lagarde, in un convegno organizzato dalla Banca centrale lettone, ha detto che tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 potrebbe esserci “una leggera recessione, ma non crediamo che sarebbe sufficiente a domare l’inflazione e quindi non possiamo semplicemente lasciare che le cose si sistemino da sole”.
Secondo la Presidente della Bce, occorre “trovare il tasso di interesse che ci aiuti a raggiungere il nostro target e lo faremo”, utilizzando “tutti gli strumenti disponibili nella nostra cassetta degli attrezzi e abbiamo dimostrato di poter essere creativi”. Abbiamo cercato di capire cosa possa implicare l’azione delle due principali Banche centrali occidentali insieme a Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale.
Cominciamo dalla Fed. C’è qualche elemento che val la pena evidenziare, posto che il rialzo dei tassi è stato dell’entità che gli analisti si attendevano?
Sì, con le sue dichiarazioni il Presidente Powell ha segnalato una ricalibrazione della strategia della Fed per i prossimi mesi: l’enfasi non sarà più posta sul ritmo e l’intensità dei rialzi, ma sul punto di arrivo di questo percorso, che sarà probabilmente un tasso più elevato di quanto si pensasse, e, inoltre, sulla durata complessiva della stance monetaria restrittiva, che sarà probabilmente più lunga di quanto ci si aspettasse in precedenza.
Quali sono le variabili che determineranno già a dicembre l’entità del prossimo rialzo piuttosto che la dinamica di quelli successivi?
Si guarderà anzitutto all’inflazione, non solo quella corrente, ma anche attesa. C’è da dire che estrapolando le aspettative di inflazione dai prezzi di mercato al momento si ha una previsione di lungo periodo disancorata rispetto al target del 2%. È anche per questo che Powell è stato indotto a diventare più hawkish, come si dice in gergo, spostando, appunto, l’enfasi sul punto di arrivo e l’arco di tempo per il quale la postura restrittiva della Fed tenderà a permanere. Anche perché gli ultimi dati confermano la persistenza di uno squilibrio tra domanda e offerta in termini aggregati.
Ci può spiegare meglio in cosa consiste questo squilibrio?
Negli Stati Uniti l’offerta aggregata è ancora inferiore ai livelli pre-Covid, mentre la domanda aggregata ha recuperato il terreno perduto. In particolare, le vendite al dettaglio continuano a crescere, sebbene con un ritmo in decelerazione, mentre gli investimenti, soprattutto nell’edilizia residenziale, a causa anche dei tassi in rialzo, si stanno contraendo. Di fronte a questi dati, Powell ha voluto inviare un chiaro messaggio anche per prevenire un eventuale rally dei mercati che finirebbe per mitigare l’azione restrittiva della Fed. Se avesse usato parole che potevano in qualche modo essere interpretate in modo più attendista e prudente, più dovish, probabilmente questo avrebbe generato, come già accaduto a luglio, un rialzo dei corsi di mercato che avrebbe mitigato l’effetto di inasprimento delle misure adottate dalla Fed.
Per la Fed, di fatto, la lotta all’inflazione diventa ancora più importante di prima.
Dall’esame delle dichiarazioni di Powell e della Fed, emerge chiaramente come quest’ultima accetti il rischio di generare una recessione piuttosto che subire un’inflazione persistente sopra il suo target e, soprattutto, aspettative disancorate nel lungo periodo. Non sembra più essere sul tavolo, pertanto, l’ipotesi di una ricalibrazione di tipo attendista della politica monetaria tale da evitare un brusco rallentamento dell’economia, ma a prezzo di non domare risolutamente il focolaio inflazionistico.
Anche la Lagarde sembra voler seguire questa linea?
Mi pare che nelle sue dichiarazioni ci sia la conferma che la Bce, coerentemente con il suo mandato, ritiene prioritario ridurre l’inflazione piuttosto che evitare una recessione. Le ultime previsioni dell’Eurotower, che risalgono a settembre, vedono nel 2023 una crescita del Pil dello 0,9% nell’Eurozona, ma solo qualche settimana dopo il Fmi ha diffuso stime che parlano di un +0,5%, con Germania (-0,3%) e Italia (-0,2%) alle prese con una contrazione netta del Pil. Credo valga la pena evidenziare che se è vero che la Bce agisce nell’ambito del suo mandato, non va tuttavia dimenticato che l’Eurozona è un’area monetaria. Quindi è particolarmente importante non solo l’impulso che viene inviato con le decisioni di politica monetaria, ma anche assicurarsi che la trasmissione del medesimo impulso sia adeguata e il più possibile simmetrica.
Perché è importante questa sottolineatura?
Perché diventa cruciale agire con creatività essendo consapevoli della complessità dell’Eurozona, come peraltro la Presidente Lagarde ha riconosciuto nelle sue affermazioni. Non va, inoltre, dimenticato che oggi alla normale eterogeneità di economie di Paesi diversi che fanno parte di un’unione monetaria si aggiunge l’impatto asimmetrico della crisi energetica.
Con quali effetti?
Prendiamo il caso di Germania e Italia. Entrambi i Paesi sono particolarmente esposti alla crisi energetica, data la loro precedente dipendenza dal gas russo, ma il secondo gode di un minore spazio fiscale rispetto al primo, con margini di manovra necessariamente ridotti. Proprio per questo è importante che vi siano delle iniziative europee volte a calmierare il prezzo delle materie energetiche, anche per contenerne l’impatto sull’inflazione: la crisi energetica continua a dominare la dinamica inflazionistica in Europa e i Governi devono mettere in campo iniziative eccezionali. Questo anche per facilitare il ruolo anti-inflazionistico della Bce.
In che senso?
Se la Bce si trova a dover rispondere a un continuo rialzo dell’inflazione, necessariamente la sua risposta diventerà più aspra e penalizzante per le nostre economie. Se, invece, l’Europa mettesse in campo delle iniziative volte a mitigare l’impatto sui prezzi delle materie energetiche, questo renderebbe la politica monetaria meno penalizzante per l’economia.
Calmierare i prezzi dell’energia è condizione necessaria, ma forse non sufficiente. Il Governo italiano sta pensando a contenere il deficit/Pil per il 2023 sotto il 5%: non è poco?
Lo spazio fiscale che ha l’Italia ha ereditato dai Governi dell’ultimo decennio è ridotto e nell’attuale contesto non si può e non si deve abdicare alla massima responsabilità fiscale. Questa crisi senza precedenti, che nel nostro Paese si combina anche a una pre-esistente situazione economica negativa, con una stagnazione ultradecennale dei redditi, va approcciata con una strategia articolata, multidimensionale, che coinvolga anche Bruxelles. Per esempio, il Pnrr va ricalibrato, visto che i prezzi alla produzione dell’industria nel solo mese di settembre sono aumentati del 53% su base annua.
L’Italia dovrà essere fiscalmente responsabile, ma l’Europa dovrà fare di più.
Data l’eccezionalità del momento – una crisi geopolitica, che si innesta su una crisi energetica, e una congiuntura economica negativa che secondo il Fmi comporterà per due delle tre maggiori economie dell’Eurozona una contrazione del Pil in termini reali il prossimo anno – l’Europa è chiamata ancora una volta a fornire una risposta eccezionale, come ha fatto in occasione della pandemia. A differenza del recente passato, tuttavia, tali aspettative rimangono, ad oggi, assai incerte.
(Lorenzo Torrisi)
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