Ai tempi della crisi dell’Eurozona del 2011-2013 era stato creato un acronimo che individuava i Paesi periferici (Pigs ovvero Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), quelli in grande difficoltà, quelli che avevano deficit e debito su livelli insostenibili, quelli che dovevano essere curati secondo le ricette scritte dai Paesi core (Germania, Francia, Olanda, Austria), quelli le cui economie e i cui bilanci erano luccicanti e perfetti.
Oggi, passato un decennio, le cose sembrano essersi invertite. I nostri cugini d’oltralpe stanno passando un momento turbolento a livello politico e complicato a livello economico; la nostra prima reazione di italici è quella di sorridere, anche perché è piuttosto in crisi anche la Germania, per 20 anni il panzer dell’economia europea. Insomma, il duo che ha comandato e comanda in Eurozona, che ha fatto vedere i sorci verdi ai Pigs, che ha imposto diete ferree, riforme, vincoli di bilancio, che ha mandato la Troika (Bce + Commissione europea + Fmi) in Portogallo e in Grecia, che ha minacciato di mandarla anche da noi, adesso viaggia al rallentatore e ha problemi a livello di governo assai peggiori dei nostri.
Il vento gira quindi e oggi la Spagna è la regina della crescita europea, come l’Economist di pochi giorni fa certifica, e anche Grecia e Portogallo vengono da anni molto buoni che hanno permesso di ridurre molto il rapporto debito/Pil, spada di Damocle per tanti anni (grafico di Oxford Economics). L’Italia brilla meno, ma è comunque cresciuta più della Germania, in pseudo recessione, sia nel 2023 che nel 2024.
Il Paese più in crisi è oggi la Francia, il nuovo malato dell’Eurozona, che, oltre ad avere una situazione politica molto complessa, a livello economico mostra dei problemi seri:
– È il Paese a livello Eurozona che più volte ha infranto la regola del massimo di 3% di deficit annuo rispetto al Pil (20 volte dal 1999).
– Il rapporto debito/Pil del Paese non è più basso visto che con un 112% è il terzo peggior Paese nell’Eurozona e la crescita molto limitata rende la situazione complessa.
– A differenza di Grecia, Italia, Portogallo, anche loro indebitati, ma che viaggiano con bilance primarie positive (dall’1% al 3% del Pil nel 2024), la Francia è tipicamente in negativo (4% di deficit rispetto al Pil atteso per quest’anno).
Il mercato sembra essersi accorto di tutto ciò visto che lo spread di rendimento che i titoli francesi devono offrire agli investitori rispetto ai titoli tedeschi è salito fino a circa 75 basis points (0,75% di rendimento in più all’anno). Solo in piena crisi Eurozona era stato più elevato come vedete nel grafico di Kepler.
Le agenzie di rating hanno abbassato il merito creditizio del debito governativo francese, che resta a oggi comunque superiore al nostro, e mantengono un outlook negativo. La borsa francese ha nettamente sottoperformato le altre borse europee quest’anno.
Sarebbe quindi il momento di politiche rigorose, di tagli alle spese e di aumento della tassazione per dare più entrate allo stato. Ebbene in Francia, Paese estremamente ricco di conflittualità sociale, altamente sindacalizzato, in cui ci sono organizzazioni che difendono gli interessi di tutti e sono pronte a scioperare alla prima avvisaglia di riduzione di privilegi storici, è praticamente impossibile portare avanti iniziative alla “Mario Monti 2011-2013”.
La situazione in Germania è altrettanto complicata politicamente vista la crescita dei partiti di estrema destra e il Paese economicamente fatica perché il modello costruito su energia a basso prezzo per l’industria manifatturiera tedesca tramite il gas russo non esiste più, il settore auto è in crisi per via della Cina e di politiche europee green eccessive, e infine gli Stati Uniti e Trump attaccano i Paesi basati sulle esportazioni attraverso nuovi dazi.
Occorrerebbe che i consumatori tedeschi spendessero di più, abbandonassero almeno per un po’ la politica della frugalità, che il Governo cambiasse le regole che impongono il “pareggio di bilancio” allo Stato, che si mettessero in piedi politiche di investimento infrastrutturale importante (la Germania lato strade, treni e aeroporti è arretrata rispetto ad altri Paesi europei).
I tedeschi hanno mostrato più volte in passato di sapersi mettere a un tavolo, lavorare insieme e fare un piano di lungo termine per il bene del Paese. Oggi però la Merkel, autrice insieme a Kohl e a Schroder del miracolo tedesco degli ultimi 25 anni, scrive libri e non se ne vede una nuova all’orizzonte.
Per fare un’analisi più veritiera della situazione è comunque utile ampliare l’orizzonte temporale. E così se paragoniamo, per esempio, la crescita tedesca a quella greca negli ultimi 15 anni (fonte Eurostat) vediamo che non c’è partita. La Grecia ha fatto molto meglio dal Covid in avanti, ma è ancora enormemente indietro rispetto ai teutonici se includiamo il periodo della crisi dell’Eurozona.
E come ultimo punto osserveremmo che i fondi del Recovery Fund Eu sono stati destinati soprattutto ai Pigs (e all’Est Europa) e molto meno al core dell’Eurozona (grafico dell’Economist) e quindi è abbastanza naturale vedere in questi anni una crescita maggiore dei primi rispetto ai secondi.
Anzi, se i fondi fossero impiegati meglio, su progetti strategici e forieri di crescita, Paesi come il nostro potrebbero fare ancora meglio e godersi di più questo “momento di gloria”.
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