Giovedì la Bce ha lasciato invariato i tassi nonostante l’inflazione stia facendo segnare i livelli più alti degli ultimi decenni. La Banca centrale europea ha lasciato aperta la possibilità di un rialzo marzo e continua ad aspettarsi una normalizzazione nei prossimi mesi che non è assolutamente scontato possa arrivare. Ovviamente la base di paragone diventerà via via meno sfidante e questo potrebbe aiutare, ma le dinamiche che hanno generato la spinta inflattiva sono ancora in corso. La decisione della Bce è spiegabile solo andando in profondità rispetto a una narrazione che è ancora ferma al recupero del Pil del 2021, alle riaperture e, nel caso italiano, all’Italia “locomotiva d’Europa”. La Banca centrale europea è in una posizione particolare rispetto alle altre banche centrali.
Esse si trovano nella posizione di dover iniziare un ciclo di rialzo dei tassi in un momento sfavorevole. L’economia globale sta rallentando, i problemi nelle catene di fornitura globale non si stanno riducendo e la crisi energetica riflette fattori che non si possono neutralizzare con una stretta monetaria; sono il prodotto di quasi dieci anni di sotto investimenti nel settore e di tensioni geopolitiche di cui si legge sui giornali quotidianamente. Le restrizioni decise dai Governi dopo la comparsa del Covid hanno indebolito il tessuto economico, in particolare per le pmi, e prodotto un balzo dei debiti privati e pubblici. In questo scenario il contenimento dell’inflazione rischia di essere poco efficace e in compenso potrebbe far deragliare l’economia dei Paesi più fragili. Recriminare sul ritardo delle banche centrali che avrebbero dovuto iniziare ad alzare i tassi almeno sei mesi fa non è particolarmente utile per una soluzione.
La Bce in questo scenario è in una posizione particolarmente complicata. L’Unione europea non ha risorse energetiche; l’unico Paese che ha un’indipendenza energetica è la Francia sia per il nucleare, sia per la sua proiezione internazionale, ma non è sufficiente per risolvere i problemi dell’Europa. Le tensioni geopolitiche con la Russia che è, di gran lunga, il principale fornitore della prima e della seconda manifattura d’Europa, Germania e Italia, hanno implicazioni per l’Europa molte volte superiori a quelle, per esempio, che subiscono gli Stati Uniti o la Gran Bretagna.
C’è un secondo ordine di problemi: sotto l’ombrello dell’euro convivono Paesi che hanno debiti elevati e in cui le restrizioni hanno fatto molti danni. Per la Bce e l’Europa si ripropone alla grande il tema della coesione interna perché un rialzo dei tassi non solo rischia di far divaricare l’andamento economico, ma di creare tensioni che verrebbero immediatamente esplorate dai mercati. Siamo già oltre l’analisi perché i credit default swap sul debito pubblico italiano negli ultimi giorni si sono già mossi e lo spread negli ultimi tre giorni è letteralmente esploso portandosi a livelli che non si vedevano da agosto 2020.
Lo spettro della crisi dei debiti sovrani aleggia sull’Europa solo che questa volta il contesto internazionale non è favorevole. Che l’Europa in questo scenario voglia proseguire senza tentennamenti, “per salvare il pianeta”, su una costosissima transizione energetica dai dubbi effetti ambientali e potenzialmente mortale per l’industria è indice di mancanza di qualsiasi buon senso. Le patrimoniali in Italia che si avvicinano non risolverebbero nulla; i problemi sono su un altro livello. Qualsiasi discussione e qualsiasi politica economica che non parta dalla crisi energetica, qui e ora, evita la questione ed è destinata al fallimento.
La Bce è obbligata a sperare in un rallentamento dell’inflazione, che non si capisce da dove debba arrivare, e a posticipare i rialzi perché ancora una volta a rischio c’è l’euro. Se non credete a chi scrive almeno credete agli investitori, allo “spread” e soprattutto ai cds sul debito italiano.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI