Il Recovery Fund arriverà nel 2021 e non coprirà il fabbisogno dell’Italia, motivo per cui Giuseppe Conte (che in economia è più su linea gialla a cinque stelle) punta al Pepp ed alla soluzione “giapponese” che avevamo illustrato tempo addietro, scenario che garantirebbe all’Italia autonomia economica ed assenza di vincoli.
Una completa autonomia commerciale nel rispetto dei vincoli Nato (nella parte militare) e la possibilità di accordi bilaterali con Russia (energia), Usa (finanza), Cina (commercio e produzione). Banca d’Italia che torna all’origine o lavora tramite programma Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme) della Bce come stanno facendo Francia e Spagna, nazionalizzazione delle aziende di Stato su modello giapponese, ovvero in forma ibrida con il settore privato, con emissione poi di corporate bond. Tagli lineari alla burocrazia e creazione di un sistema “azienda 48”, se tutto in ordine in 48 ore puoi aprire la tua attività (ti sottoponi in itinere a verifiche periodiche).
Ovviamente un sistema di corporate bond interni per Pmi e libertà di bilancio con debito autofinanziato (come fino al 1981) o appunto con pieno ricorso al Pepp. Permanenza nell’euro, che diventa però moneta-valore legata alla Banca d’Italia e non più alla Bce. Possibilità di accordo simil Cee con la Ue e creazione di “unioni economiche strategiche”, su acciaio o energia con Stati ricchi di materie prime (che l’Italia poi trasformerebbe come prima del 1992). Totale libertà di riforme, potenziamento massimo del settore turismo e cultura, con obiettivo da raggiungere: tornare al primo posto (ora siamo quinti) in classifica mondiale. Accordi diretti con paesi arabi per forniture di petrolio da raffinare anche in paesi terzi, sempre tramite equo-scambio e cooperazione internazionale basata non solo su versamenti ma soprattutto puntando ad aumentare emancipazione (scuole, infrastrutture) e benessere del singolo (vera molla per non emigrare).
Oltre ai pro ci sarebbero anche dei lati meno positivi, come l’aumento delle spese militari, il rischio concreto di non essere competitivi a livello globale con certi settori “troppo provinciali” anche se di qualità. Revisione obbligata della politica energetica, anche quella nucleare, magari con approcci meno ideologici o in modalità ibrida con il fotovoltaico. Necessità di ingenti infrastrutture che rischierebbero blocchi in caso di mancata sburocratizzazione. E la speculazione finanziaria da parte di soggetti esterni con rischio di isolamento visto che, in caso di crisi internazionali, un attacco ai titoli italiani non sarebbe da escludere.
La Bce ha ampliato ad oltre 600 miliardi la propria potenza di fuoco, arrivando ad un valore medio complessivo pari a 1.350 miliardi. Il piano (che scade nel 2021, a giugno) ha dato ossigeno alla zona euro, confermando anche il Qe. I titoli acquistati in questo contesto verranno reinvestiti almeno fino al termine del 2022, con tassi sempre allo 0% sul rifinanziamento, allo 0,25% per il marginal lending facility, e a -0,5% sui depositi. Lagarde insomma, nonostante qualche dichiarazione sibillina, ha fatto il proprio e continuerà a farlo, onde evitare pericolose contrazioni di liquidità.
La Merkel, insieme ai satelliti olandesi, austriaci e finnici, ha fatto passare un accordo politico (quello a metà sul Recovery Fund) per economico. In Italia, dopo la sbornia (ingiustificata) delle prime ore, Gualtieri non ha spinto su Btp Futura (un gigante d’argilla, sembra quasi creato per non essere acquistato) e nemmeno poi tanto su Btp Italia: forse in attesa di settembre per alzare le mani ed infilarci nel Mes?
Del resto, dati alla mano, dopo l’iniziale corsa miliardaria ai Btp Italia il calo c’è stato, nel mentre galoppano invece Francia e Spagna (che hanno intuito il terremoto in arrivo dalla Germania). Come suggerito dalla Consob a giugno, emettere “obbligazioni pubbliche irredimibili (consols)” sarebbe lo strumento adatto a fronteggiare una crisi, quella attuale, simile al dopoguerra, se non proprio uno scenario bellico. Bond che “potrebbero riconoscere un tasso d’interesse, esonerato fiscalmente, pari al massimo dell’inflazione del 2% che la Bce si è impegnata a non superare nel medio termine”. Una sfida italiana al mercato, senza vincoli, una soluzione coraggiosa ma alla portata della nostra forza economica. Uno scenario che alla parte del governo “gialla” non è mai dispiaciuta.
La parte “rossa” invece punta ad un soluzione con “pilota automatico”, ovvero affidamento totale alla Ue (tramite vincoli di bilancio), una sorta di resa economica. In questo modo il Paese sarà influenzato a prescindere dal suo corso elettorale a veti di Stati terzi, condizionati da interessi nazionali altrui, relegando di fatto la seconda manifattura d’Europa e terza forza economica (settima mondiale) ad un ruolo di seconda fascia che sarebbe deleterio per le nostre industrie.
La litigata sulla nomina di Luigi Marattin (IV) alla presidenza della commissione Finanze (poi avvenuta) ha avvelenato il clima tra gialli e rossi. Luigi Marattin è l’antitesi di quel capitalismo progressista caro ai pentastellati e soprattutto è completamente in linea con l’utilizzo del Mes.
Tutto questo è sul tavolo del premier Giuseppe Conte, che ha sempre dichiarato di non voler infilare l’ Italia nel Mes; per tenere l’obiettivo però, non sarà sufficiente il Recovery ma una soluzione, se non “giapponese”, almeno molto vicina, che punta a obbiettivi coraggiosi, da grande paese. Giuseppe Conte ha portato a casa un risultato politico in Europa, ma settembre è alle porte e l’ Italia deve arrivarci con due assi portanti: il virus in contenimento (altri blocchi sarebbero deleteri) e una soluzione economica che garantisca futuro alle nostre imprese. Quest’ultimo punto necessita pianificazione e coraggio, ma è in gioco il destino di almeno due generazioni di italiani.