Lunedì pomeriggio lo “spread” ha cominciato a salire e, unico caso in Europa, i titoli del debito italiano hanno mandato segnali di sofferenza. Non occorre capire di finanza per rintracciare gli elementi che hanno portato “volatilità” sul debito italiano dato che l’Unione europea ha minacciato una multa da 4 miliardi di euro all’Italia per debito eccessivo mentre Salvini, ci dicono vincitore delle europee, continuava a dire che occorre uno shock fiscale e più investimenti pubblici. Si noti che la procedura non è per deficit eccessivo ma per debito eccessivo.



Oggi ci sentiremo dire che i “mercati” sono preoccupati del debito italiano e sinceramente non sappiamo più cosa pensare visto che la Cina sta largamente stimolando l’economia via espansione fiscale e del credito, negli Stati Uniti la Fed non ci prova neanche ad alzare i tassi, in Giappone vi risparmiamo i dettagli. Oltretutto vi segnaliamo che la monetizzazione del debito è un tema uscito da tempo dai convegni sui rettiliani, come dimostrano abbastanza inequivocabilmente alcuni report della Bank of England, e, se non ve ne foste accorti, c’è in atto una guerra commerciale che dopo lo scontro su Huawei ha decisamente fatto un salto in avanti.



L’Italia, come sapete, è in stagnazione da 30 anni e ha avuto due recessioni molto gravi in meno di dieci anni; una è quella del 2008 e l’altra è il prodotto dell’austerity europea accoppiata a una speculazione finanziaria che si poteva fermare subito e che invece si è tenuta in vita fino a che, appunto, non è stata fatta ingoiare la medicina dell’austerity con tutte le prevedibili conseguenze. La disoccupazione giovanile è drammatica, i giovani italiani laureati emigrano e, rifugiarsi come fatto negli ultimi dieci anni nelle esportazioni appare una strategia meno applicabile nel medio-lungo. Trovate, se ci riuscite, un economista che vi dica che un’economia che si presenta in questo modo, in questo contesto internazionale e in questa fase del ciclo economico globale e, ancora di più, in questa fase geopolitica può risollevarsi con una politica economica restrittiva e deficit che chiunque al di fuori dell’Europa considera lunari.



Ci direte che però l’Italia ha tanto debito. Verissimo. Ma allora in questo contesto economico molto sfidante il circolo vizioso non si spezzerà mai e poi, tra i vantaggi dell’appartenenza all’Unione europea non ci dovrebbe essere quello, appunto, di uno spread sotto controllo? Abbiamo interessi sul debito equiparabili a quelli greci…

Lo spread sale perché nessun Governo, neanche quello della crème della crème dell’élite continentale, potrebbe far ripartire l’economia italiana all’interno delle attuali regole europee. Questo problema diventa ogni anno che passa sempre più pressante anche per la Francia al netto del supporto interessato della Germania. La questione per i mercati è un Paese in stagnazione che viene da dieci anni di crisi, che non ha nessuna flessibilità sul cambio e che rischia di avere una relazione complicata con la sua banca centrale per motivi economici e politici. Le richieste di avere più margine di flessibilità fiscale e per gli investimenti dell’impresentabile Salvini sono in realtà, ripetiamo allo sfinimento, soprattutto in questa fase globale e italiana, difficilmente contestabili. Non avere possibilità di una politica economica espansiva in questa fase può avere solo una conclusione: trasformare una crisi in una nuova recessione con gli effetti che conosciamo benissimo sui saldi di finanza pubblica italiana.

Lo spread di lunedì è un avvertimento palese. Nessuno si illuda di poter deviare dal pilota automatico europeo altrimenti vi trovate da soli con i “mercati”. Ci rendiamo conto che politicamente l’Italia non sia allineata ai risultati francesi e tedeschi, ma solo un pazzo non si accorge dei motivi che hanno divaricato così marcatamente preferenze politiche che invece dieci anni fa erano assolutamente allineate. Uno prende l’Italia del 2009 e la trova, politicamente, molto più allineata alla Germania e alla Francia di quella del 2019. Perché? È tutto talmente evidente…

Ci viene il sospetto che qualsiasi Governo italiano che decidesse che non può far ripartire un malato terminale senza uno shock fiscale e di investimenti troverebbe una risposta simile. Quello che emerge con evidenza è il problema dell’Italia e della periferia dentro l’Unione europea e quello dell’Unione europea. La contrapposizione populisti/Europa dell’Italia di oggi è del tutto incidentale.

Il pilota automatico dell’eurozona, in un continente senza meccanismi di aggiustamento interni dal cambio, alla redistribuzione, fino a uno spread che lavora male, ha prodotto come conseguenza quello di fissare il continente su una politica basata solo sulle esportazioni, con l’economia tedesca che viaggia gratis sulla valuta comune e scarica gli squilibri interni con l’austerity nella periferia. Come risultato il mercato interno europeo è una frazione di quello di dieci anni fa in un gioco a somma zero tra centro e periferia. Questo oltre ai noti difetti sull’asse Parlamento europeo/Commissione e di una banca centrale del tutto anomala rispetto alle altre.

In questo contesto bisognerebbe farsi queste domande per capire cosa sarà dell’Italia. C’è consapevolezza in Europa dei difetti di questa costruzione e del fatto che la Germania viaggia gratis sulla valuta europea frantumando quello che le sta attorno? E che questo sistema nel nuovo mondo non è più proponibile a meno di rendere il continente una colonia tedesca? C’è consapevolezza in Italia che, a prescindere dal Governo, con le attuali regole europee il Paese non si risolleverà mai? Chi incarna oggi, magari sbagliando nella forma, queste istanze giuste ha agibilità politica in Europa o l’avrà? Esiste un élite italiana diversa dai populisti di oggi che pensa questo?

L’élite italiana, non populista, oggi è irrimediabilmente compromessa agli occhi degli elettori. Primo perché come le altre élite globali ha cavalcato una globalizzazione pagata da poveri e ceto medio a favore dei “ricchi”. Secondo perché, solo quella italiana, ha sbagliato clamorosamente nel modo di stare in Europa mentendo poi sui risultati che arrivano in una costruzione che si piegava sempre di più sugli interessi di una certa Europa e contro l’Italia per mantenere in vita “l’ideologia dell’Europa” negli elettori. Solo che le élite globali oggi, probabilmente per finta, almeno si mostrano pentite mentre quella italiana, non populista, si rifiuta di fare i conti con i propri errori storici e prende a palle incatenate i populisti che puzzano di periferia e povertà, ma pongono istanze giustissime; dimenticatevi la faccia di Salvini, i suoi toni e molti potrebbero trovare nella Lega tanto buon senso “economico”. Un’intera classe politica oggi vive la contraddizione di assistere a risultati molto diversi da quelli dichiarati sul ruolo dell’Italia in Europa. Gli elettori italiani non hanno magari chiari tutti gli elementi, però si sono accorti dell’inganno e non si fidano più dell’élite italiana non populista neanche se dice che il sole è giallo e il cielo è azzurro.

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