E così ci siamo. Il bilancio europeo, con tanto di Next Generation Eu (il cosiddetto Recovery fund), è approvato, le modifiche al Mes pure e l’Italia intera ha passato il Natale e passerà il Capodanno in “zona rossa”. Ma la vera “zona rossa”, quella che nessuno vi racconta, è quella dell’economia e della società civile italiana, cioè quell’intreccio inestricabile di rapporti economici e sociali che condiziona il vivere quotidiano del popolo. In questa “zona rossa” ci siamo entrati ormai dal primo Dpcm e non ci siamo più usciti, poiché di fatto anche le prime riaperture sono avvenute tra mille condizionamenti e tra questi il condizionamento del terrore da pandemia il cui primo artefice è stato il Governo. Un Governo già alla frutta prima del Covid e che ha trovato nell’emergenza sanitaria inventata l’occasione per un accanimento terapeutico e nella decretazione d’urgenza il mezzo per sopravvivere a ogni costo; letteralmente a ogni costo, cioè anche al costo della completa rovina dell’economia italiana.
Qui non sono in discussione il virus, né la sua pericolosità. Nessuno può mettere in discussione la strage di anziani avvenuta in particolare in alcune zone (Bergamo e Brescia, per esempio); così come non si può mettere in discussione il fatto che in tutto il centro-sud Italia l’impatto del virus è stato minimale. Ormai i dati ufficiale Istat parlano chiaro: in tutti i principali comuni del centro-sud (intendo i più popolosi: Roma, Napoli, Palermo, ecc.) il numero di decessi del 2020 è stato inferiore a quello della media dei 5 anni precedenti. Con questi dati, si può affermare serenamente che prima il Governo, potendo fare, non ha fatto nulla. Poi, quando tardivamente si è mosso, ha applicato dovunque una medesima ricetta, mandando così in rovina economica inutile i due terzi del territorio italiano.
Quindi qui è ora in discussione il fatto oggettivo di un’ordinanza di un giudice di Roma che, sollecitato da una istanza in autotutela, ha dichiarato i Dpcm adottati dal Governo durante l’emergenza come illegittimi, in quanto durante il lockdown hanno limitato i diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali.
Di fatto, cosa rimane dell’azione del Governo? Nulla. Un nulla pesantissimo però, perché rischia di rendere automatico l’annullamento di tutte le sanzioni comminate, nel momento in cui verranno contestate. E questo nulla corrisponde precisamente al nulla fatto sempre dal Governo dalla dichiarazione di emergenza sanitaria (il 30 gennaio 2020) alle prime chiusure (11 marzo 2020); ben quaranta giorni di zero assoluto, mentre i maggiori esponenti politici dei partiti di Governo erano impegnati in campagne del tipo “abbraccia il cinese” o “apericena a Milano”.
Poi sono iniziate le prime chiusure, le prime zone rosse, le prime menzogne (“chiudiamo per 14 giorni per poi riprendere la vita normale”). Ma questo non poteva accadere e non sarebbe mai potuto accadere perché la situazione di emergenza creata ad arte (con l’inattività del Governo e con il tacere delle informazioni a disposizione, fin dall’autunno 2019) aveva dato una fantastica occasione di visibilità alla quale la compagine governativa (dal Premier Conte al ministro della Pubblica istruzione Azzolina, passando per Speranza – Sanità – e Gualtieri – Economia) non poteva rinunciare, per tentare di stare in piedi a tutti i costi. L’obiettivo era ed è chiaro: stare in piedi a tutti i costi, almeno fino al “semestre bianco”, quando non si può tornare alle urne perché sono imminenti le elezioni del presidente della Repubblica (previste per il 2022). Insomma, un Governo che rimane al potere perché non si può fare altro, non perché abbia un progetto politico o un piano da portare a compimento. O meglio, il vero piano è il mantenimento del potere a tutti i costi e in tutte le situazioni.
Di fronte a questo non piano, gli effetti per l’economia sono evidenti. Il Governo ha fatto cassa non spendendo e così sta riuscendo a sopravvivere al crollo delle entrate fiscali. Ha venduto alla pubblica opinione il fantastico “Next Generation Eu”, ben 209 miliardi in sette anni (quindi 30 all’anno circa) che però vengono dal bilancio dell’Ue, cioè dai governi, cioè dalle nostre tasche per la nostra parte. Insomma, non viene nulla più di prima, noi italiani siamo stati e continueremo a essere uno dei contributori netti del carrozzone europeo. Un carrozzone che finora ci è costato oltre 110 miliardi di euro in vent’anni. Insieme a tante regole e norme paralizzanti che hanno bloccato la nostra economia.
Si potrebbe affermare che però siamo dentro un progetto di unificazione e che le cose buone hanno sempre un costo: insomma, la solidarietà non è gratis. Indubbiamente la solidarietà non è gratis e noi di solidarietà ne diamo mi pare tanta, sia in termini finanziari che con una solidarietà reale, soprattutto verso gli immigrati. Il cuore del problema è che questa solidarietà non la riceviamo, anzi: ogni occasione di riunione europea sembra l’occasione per sbeffeggiarci, per sottolineare i nostri problemi, la nostra situazione difficile, come fosse una colpa, come se in Europa non vi fossero stati errori e responsabilità ben precise, come nel caso eclatante della Grecia.
Allora la vera domanda è: cosa stiamo finanziando? Stiamo finanziando la solidarietà europea, oppure stiamo finanziando l’egoismo e la volontà predatoria del turbo-capitalismo finanziario? Stiamo finanziando la pace, o la guerra a colpi di spread?
Natale è arrivato e tra poco arriva il nuovo anno, col suo carico di attesa e di speranza per il futuro. Se c’è un messaggio che il Natale può portare a tutti, credenti e no, è che i grandi cambiamenti possono realizzarsi davvero partendo da piccoli cambiamenti, resi però persistenti, duraturi, fino a farli divenire dei punti di forza inattaccabili dalle intemperie della globalizzazione alla quale siamo tutti esposti.
Se questo accade, se questo diventa un obiettivo preciso e perseguito, soprattutto se questo diventa un esempio che si diffonde in modo virale (un aggettivo particolarmente azzeccato di questi tempi) allora davvero la speranza non è un sogno, ma una costruzione paziente e possibile. Buon Natale a tutti!