La Federal Reserve ha ufficialmente dato il via al tapering con cui ridurrà – fino all’azzeramento entro la metà del 2022 – l’acquisto di titoli sul mercato. Come evidenzia Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fmi, la Banca centrale americana «si è rivelata ancora una volta, tra le altre cose, un campione della comunicazione ai mercati. Jerome Powell è riuscito a comunicare una normalizzazione della politica monetaria dopo anni di espansione senza creare turbolenze sui mercati. Lo stesso non può dirsi della Bce pensando a quel che è accaduto negli ultimi giorni, tanto è vero che lo spread italiano è salito nell’ultima settimana».



La salita del differenziale è iniziata proprio a seguito della riunione del board della Bce del 28 ottobre. Cos’è successo?

Rispetto alla precedente riunione del 9 settembre, Christine Lagarde ha detto che l’inflazione sarà, per l’anno in corso, superiore alle previsioni presentate proprio in quell’occasione, ma ha anche aggiunto che questo rialzo non modifica l’orizzonte di medio periodo, che è quello in base al quale la Bce ricalibra la sua politica monetaria. Inoltre, lo scorso settembre aveva detto che a dicembre si sarebbe valutata un’eventuale cessazione del Pepp a fine marzo e che gli acquisti di titoli sarebbero proseguiti sotto l’egida dell’App (Asset Purchase Programme), che è l’altro programma di politica monetaria non convenzionale, così da smussare l’impatto di un’eventuale cessazione del Pepp; ebbene, il 28 ottobre la Presidente dell’Eurotower ha spiegato che, sulla base delle attuali condizioni, il Pepp è destinato a cessare a fine marzo e non ha fatto più alcun riferimento all’App.



Sostanzialmente qual è la differenza tra le dichiarazioni del 28 ottobre e quelle del 9 settembre?

Ci sono due informazioni nuove. La prima è relativa a una maggior qualificazione circa la cessazione del Pepp, con una scelta che sembra anticipata visto che a settembre si rinviava a dicembre tale decisione. La seconda è che non si fa più cenno all’App. Dunque, non è chiaro cosa accadrà una volta terminato il Pepp. Mi permetta di aggiungere un dettaglio non proprio irrilevante.

Prego.

In passato, quando la Presidente Lagarde aveva rilasciato dichiarazioni che avevano in qualche modo “scosso” i mercati abbiamo assistito a un intervento nei giorni successivi di Philip Lane, capo economista della Bce, volto a calibrare e qualificare gli statement della Presidente. Questa volta ciò non è avvenuto.



Questo cosa significa?

Che l’orientamento prevalente nel Consiglio direttivo della Bce è quello di far cessare il Pepp e allo stesso tempo ricalibrare l’intero strumentario degli acquisti non convenzionali, quindi depotenziare l’App.

Questo rappresenta un problema, anche perché il prossimo appuntamento del board della Bce è fissato a metà dicembre. C’è il rischio di un mese intero di incertezza…

Sì. Mi permetta di sottolineare anche che nel suo ultimo discorso di mercoledì scorso, nel corso delle celebrazioni per i 175 anni della Banca centrale portoghese, Christine Lagarde ha parlato di tassi, di inflazione, della fine del Pepp, ma non dell’App. Quindi il quadro che comincia a delinearsi presenta qualche criticità per l’Italia per due motivi.

Quali?

Il primo riguarda l’esigenza del rifinanziamento pubblico: il Tesoro effettua la maggior parte della provvista tipicamente nei primi sei mesi dell’anno, proprio il periodo in cui nel 2022 il Pepp verrà a cessare. Il secondo è che, in virtù dell’aumento del costo del rifinanziamento del debito, ci sarà una maggiore pressione sul bilancio pubblico: vedremo quindi Bruxelles ancora più attiva nel monitorare il nostro livello di deficit visto che il supporto della Bce si andrà affievolendo.

Dunque il rialzo dello spread che si è visto in questi giorni potrebbe proseguire almeno fino al 15 dicembre.

Direi di sì, a meno che non ci siano fatti nuovi o dichiarazioni che promanino dalla stessa Bce. Al momento i segnali diretti e indiretti lasciano pensare, appunto, che l’App verrà depotenziato rispetto alle aspettative che, invece, la stessa Bce aveva veicolato sino allo scorso settembre.

Di fatto cosa cambierebbe nel passare dal Pepp all’App?

Le differenze sostanziali sono due. La prima è meramente quantitativa, perché il Pepp è un programma addizionale rispetto all’App. La seconda è di tipo qualitativo, ma con riflessi anche sulle quantità di titoli acquistati, nel senso che nel Pepp non è previsto un vincolo al rispetto del criterio del capital key (cioè ripartire gli acquisti dei titoli dei diversi Paesi in base alla loro quota di capitale della Bce), se non in forma blanda, vincolo che è invece presente, e stringente, nell’App. L’Italia, quindi, perderebbe il beneficio di cui ha goduto e gode in questo periodo in cui il Pepp è ancora attivo: un acquisto di titoli superiore a quello che si sarebbe avuto in base alla propria quota di capitale.

Tra i fatti nuovi che potrebbero portare la Bce a cambiare atteggiamento e rivedere la decisione sul Pepp ci potrebbe essere l’aumento dei contagi che si sta registrando in Germania e che potrebbe anche riguardare altri Paesi dell’Eurozona?

Al momento, i dati di crescita e di stabilizzazione macroeconomica appaiono più forti di quelli del virus. Naturalmente la Bce si riserva sempre la possibilità di rivedere il suo orientamento alla luce di dati e fatti nuovi, quindi la risposta alla sua domanda è affermativa. Tuttavia, al momento per quanto riguarda la Germania sembra che le preoccupazioni riguardino piuttosto il rialzo dell’inflazione che, nonostante la Bce abbia sottolineato sia temporaneo, transitorio, suscita notevoli timori in ampi segmenti della loro opinione pubblica. E questo sta aggiungendo ulteriori pressioni in seno alla Bce proprio per ricalibrarne la postura in senso più restrittivo.

(Lorenzo Torrisi)

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