L’ormai più che probabile crisi di Governo si apre in un periodo particolarmente delicato per molti elementi, ma soprattutto sotto il profilo dei conti pubblici. In teoria, entro il 20 ottobre, infatti, dovrà essere presentato il progetto di Legge di bilancio per il 2020, progetto che, almeno in teoria, dovrà rispettare gli impegni presi per evitare la procedura di infrazione europea, ma soprattutto dovrà tener conto dei limiti e delle compatibilità imposte dallo scenario esterno oltre che dalle leggi della fisica e della matematica.



Perché se è vero che la politica viene definita l’arte del possibile, è altrettanto vero che appare complessa la strada di chi vuol forzar troppo la mano dimenticando che a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria e che nulla si crea (tanto meno il denaro) e nulla si distrugge. Anche se tutto comunque si può trasformare, il problema è vedere come.



L’Italia si trova peraltro in una situazione non tanto difficile, quanto delicata. Ha un debito pubblico molto alto, posseduto per un quarto da investitori esteri, un debito ampiamente sostenibile se viene tenuto sotto controllo. Ha una crescita economica vicina alla zero. Ha una spesa pubblica tendenzialmente in aumento anche per le scelte attuate dal Governo uscente sul fronte previdenziale (quota cento) e assistenziale (reddito di cittadinanza). Ha preso l’impegno a non superare il 2% di rapporto tra deficit e Pil e per far questo deve anche trovare una ventina di miliardi per evitare l’aumento dell’Iva, introdotto come clausola di salvaguardia lo scorso anno.



In queste condizioni appare in tutta evidenza come non possa che essere palese ed esplicito il conflitto tra economia e politica. Nella realtà economica le decisioni di carattere fiscale, monetario e di bilancio hanno effetti, positivi o negativi che siano, sui tempi lunghi e in molti casi i costi si rivelano prima o poi ben maggiori dei benefici immediati. La politica invece ha bisogno di raccogliere, soprattutto gradimento e consenso, in tempi brevi, magari addossando silenziosamente oneri e costi sulle generazioni future.

È questo conflitto tra politica ed economia che costituisce il filo conduttore dell’analisi di Lorenzo Forni, con esperienze al Fondo monetario internazionale e alla Banca d’Italia e ora docente di Politica economica all’Università di Padova, nel libro “Nessun pasto è gratis” (Ed. Il Mulino, pagg. 140, € 14). Il titolo riecheggia quello di un famoso saggio di Milton Friedman del 1978, un saggio che viene considerato una pietra miliare nella difesa del liberalismo economico. Forni si muove invece lontano dalle ideologie, ma mira soprattutto a dimostrare che in economia non esistono bacchette magiche o ricette segrete, e nemmeno scorciatoie e trucchi contabili. E così viene dimostrato con dati di fatto, ricostruzioni storiche ed esempi concreti, come sia prima illusoria e poi pericolosa la tentazione di affrontare i problemi della crescita aumentando i debiti, stampando moneta, uscendo dall’euro per recuperare sovranità monetaria.

Queste argomentazioni comunque non appaiono solo una difesa di ufficio degli economisti e una condanna dei politici, ma costituiscono soprattutto un invito a entrambi i campi a tener conto della realtà perché un vero uomo di Stato non dovrebbe curarsi solo della necessità di vincere le elezioni, ma anche di fare il più possibile il bene del Paese. Con la fiducia che gli elettori possano essere abbastanza intelligenti da capire che fare il bene del Paese deve anche voler dire rispettare gli equilibri di bilancio come farebbe un buon padre di famiglia.