In ogni festa c’è un cireneo che si prende l’ingrato compito di portare via gli alcolici quando ospiti e invitati danno segno di diventare troppo allegri. L’eccesso di allegria può portare a farsi involontariamente male o quanto meno a una brutta emicrania. Quando si scrive di politica economica tocca, a volte, al croniqueur assumere questo compito. Specialmente dopo un fine settimana, più che di allegria, di vera e propria euforia.



Si è cominciato con una piccola sbornia sulle decisioni assunte dal Consiglio della Banca centrale europea. Alcuni giornali hanno titolato come se fosse una cortesia del Presidente uscente della Banca all’Italia e soprattutto al suo nuovo Governo. Dimenticando che le misure erano già state annunciate in giugno al seminario Bce a Sintra, che avevano suscitato forti aspettative sui mercati, che si sarebbero potute trasformare in delusione, crolli in Borsa e accelerazione della recessione. Sorvolando, poi, che si è trattato di una dura mediazione tra “falchi” e “colombe” che ha portato a un Quantitative easing molto, molto più modesto del precedente.



Nessuno, poi, ha mostrato di essere a conoscenza del recente lavoro analitico di Martina Cecioni del servizio studi della Banca d’Italia (working paper n, 1202) in cui si dimostra che le misure monetarie della Bce hanno effetti differenti a seconda della fase del ciclo economico: funzionano bene se si è in fase espansiva, ma non mordono se si è in una fase – come l’attuale – di stagnazione che si sta trasformando in recessione. Tanto rumor per nulla, si potrebbe dire. Se non fosse trapelato sulla stampa tedesca, prima, e, poi, su altre testate che dieci componenti del Consiglio Bce, tra cui i Governatori delle banche centrali di Francia e Germania, si sarebbero opposti alle misure, le quali sono state approvate non per consenso ma dopo una votazione in cui la proposta Draghi è passata per un soffio. Un caso fortuito? Un problema tecnico? Oppure la fine di una brevissima luna di miele con il nuovo Governo italiano? Lo sapremo nelle prossime settimane. Tra qualche giorno, però, potremo anche valutare se l’attacco iraniano agli impianti petroliferi sauditi aggrava la recessione in Europa e in Italia e porta con sé anche inflazione da costi.



Euforia anche riguardo la visita lampo del ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri a Helsinki per la riunione informale dell’Ecofin. Informale vuol dire che non viene emesso un comunicato al termine della riunione. Quindi, gli addetti stampa dei Ministri possono dire ciò che vogliono ai cronisti corsi in Finlandia. Senza dubbio, Gualtieri è stato accolto con calore da coloro che sino a dieci giorni fa erano suoi colleghi o suoi interlocutori. Non è chiaro né cosa abbia chiesto, né cosa abbia ottenuto.

Richieste e risposte potevano, comunque, essere solamente “informali” non solo a ragione della natura della riunione, ma perché il momento è quello della presentazione della Legge di bilancio, ossia tra cinque settimane circa. Pare che sia stata proposta ai colleghi Ecofin una “flessibilità triennale” sul vincolo al deficit e la “golden rule” per gli investimenti pubblici (da non contabilizzare se finanziati in deficit). In tal modo, si potrebbe finanziare una politica espansionista, far crescere il Pil e ridurre il rapporto tra il debito e quest’ultimo. Idee ragionevoli, d’altro canto già al centro di una proposta di revisione del Fiscal Compact e di un recente documento del Fiscal Council europeo – l’organo che coordina gli Uffici parlamentari di bilancio.

Nel caso specifico dell’Italia, è difficile che l’Unione europea prenda impegni triennali dato che gli esami di bilancio sono annuali. E in materia della “golden rule”, è fin troppo facile dire che l’Italia deve mettere in atto le opere pubbliche già finanziate (un lungo elenco) e bloccate dai colleghi di governo di Gualtieri. Inoltre, nella fase di cantiere gli effetti sulla crescita della realizzazione di opere pubbliche non saranno elevati. Lo saranno di più quando, a regime, incideranno sulla produttività.

Gualtieri conosce bene l’economia dell’Unione europea a ragione degli anni passati al Parlamento europeo alla guida della Commissione economica. È un professore di storia moderna all’Università di Roma alla Sapienza. Quindi, sa che negli anni del trasformismo di Depretis l’economia italiana venne afflitta da una lunga stagnazione, da una caduta della produzione agricola, dal varo della “tassa sul macinato”, da una tariffa doganale protezionista, da avventure finite male di politica estera. La storia non si ripete. Conoscerla, però, dovrebbe aiutarci a evitarne i trabocchetti.