Lunedì Mario Draghi ha incontrato Ursula von der Leyen. I due hanno parlato delle sanzioni alla Russia, dell’accoglienza ai profughi ucraini e dei passi da compiere sul piano energetico da parte dell’Ue per evitare contraccolpi negativi per imprese e cittadini. In questo senso il Governo italiano sta pensando a nuovi interventi contro il caro bollette. Resta da scoprire come intenda muoversi per fronteggiare un periodo non economicamente roseo. E qualche risposta arriverà con tutta probabilità dal Def.
Ma sarà prima decisivo capire quale atteggiamento avrà su questo piano la Commissione europea, che la settimana scorsa ha presentato le Linee guida per la politica di bilancio per il 2023. E, come spiega Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, «si tratta di uno strumento fondamentale per la sostenibilità del progetto europeo in un momento in cui l’Ue viene messa prepotentemente a rischio da un conflitto che potenzialmente può metterla in ginocchio economicamente e quindi anche politicamente. Ho pertanto letto con attenzione le Linee guida per capire se dato il mutato scenario di contesto ci sarebbe stato o meno un nuovo approccio alla politica fiscale».
Il documento riguarda però il 2023, un periodo in cui potrebbe essere già stata approvata la riforma del Patto di stabilità e crescita, e non la contingenza attuale…
Si tratta in realtà di due aspetti inscindibili, nel senso che la riforma del Patto di stabilità deve dirci anche cosa farà la politica fiscale nei momenti di crisi come quello attuale. Del resto, l’impasse economica in cui si trova l’Europa da oltre un decennio è dovuta alla grandissima mancanza di indicazioni su come utilizzare la politica fiscale nei momenti di crisi.
Dunque, le Linee guida della Commissione cosa dicono in merito?
Nel testo sembrano essere predominanti parole quali investimenti, crescita e sostenibilità. Questi elementi apparentemente positivi cozzano, però, con un qualcosa scritto in maniera forse mai così chiara rispetto al passato.
A che cosa si riferisce?
Al fatto che esistono due pesi e due misure. Nel documento viene riconosciuta l’eterogeneità delle posizioni di partenza tra Paesi membri e la conseguente esigenza di politiche diverse a seconda del contesto di ciascuno.
Il che è positivo…
Sì, perché per avere successo un’unione deve basarsi sull’aiuto al più debole. Tuttavia, nelle Linee guida non si punta a favorire la convergenza tramite sostegni ai più deboli, ma a creare ulteriore divergenza. Tutto questo quando vi sono dati che mostrano come nell’ultimo decennio si sia allargata drammaticamente la forbice di benessere tra Nord e Sud dell’Europa.
Ci può spiegare meglio perché queste Linee guida favoriscono la divergenza tra Paesi membri?
Nel documento si dice chiaramente che i Paesi ad alto debito, causato anche dal tremendo crollo della crescita dovuto non solo alla loro responsabilità, ma anche alle politiche che l’Europa gli ha chiesto di applicare, dovrebbero avviare una graduale riduzione dell’indebitamento, mentre i Paesi a basso debito dovrebbero rafforzare gli investimenti, il che, ovviamente, aumenterebbe la loro competitività già alta rispetto a quella dei Paesi più indebitati. Devo ammettere che fa veramente impressione leggere nero su bianco che si vuol perseguire una maggior divergenza tra i Paesi dell’Unione, cosa che non può che comportare maggior fragilità del progetto non solo economico, ma anche politico europeo.
Sapere quindi che l’anno prossimo non si applicherà la regola del debito o che potrebbe esserci un’ulteriore sospensione del Patto di stabilità non basta se poi c’è questa impostazione di fondo.
Esatto. Tra l’altro dobbiamo chiederci una cosa, alla luce dei dati Istat usciti la settimana scorsa relativi all’indebitamento delle Amministrazioni pubbliche: c’è veramente stata la sospensione del Patto di stabilità?
Perché le sorge questo dubbio?
Perché in queste settimane si è parlato tanto della crescita e della riduzione del debito ottenuti dal nostro Paese lo scorso anno, ma nessuno sembra aver notato che l’Istat ha certificato che il deficit/Pil a fine 2021 è stato pari al 7,2%, il che vuol dire che è stato tradito il progetto che era stato previsto e comunicato a imprenditori e cittadini da parte del Governo in un anno particolarmente duro e difficile.
Professore, anche in questo caso devo chiederle se può spiegarci meglio quanto ha appena detto.
Ad aprile 2021, il Governo Draghi, nel Def, aveva comunicato che data la difficoltà che si prevedeva per l’anno, il deficit/Pil sarebbe stato pari all’11,8%. A fine settembre questa cifra è stata corretta nella Nadef al 9,4%. Alla fine, se raffrontiamo il dato del Def con quello finale comunicato la settimana scorsa dall’Istat, abbiamo l’evidenza che il Governo ha scelto volontariamente di non immettere nel sistema economico circa 100 miliardi di euro. Questo ci aiuta anche a capire perché torniamo ai livelli di Pil pre-Covid più tardi di altri Paesi. Ma fa nascere anche almeno un paio di riflessioni.
Quali?
La prima è che se Def e Nadef, che sono importanti per le aspettative di imprenditori e famiglie, vengono sottoposti a continue modifiche su cifre così importanti si crea un danno enorme di credibilità per questi stessi strumenti. La seconda è che emerge che non solo la priorità del nostro Paese è ridurre l’indebitamento anche in tempi drammatici, ma che si ha paura di fare gli investimenti pubblici a cui quei 100 miliardi si sarebbero potuti destinare, e questo probabilmente perché non li si sa fare. In questi anni l’Italia non si è preparata per investire di più perché non è stata fatta la madre di tutte le riforme tesa a migliorare la qualità delle stazioni appaltanti. Una riforma che non c’è nemmeno nel Pnrr.
Se oggi ci fossero risorse disponibili, secondo lei andrebbero utilizzate anche per misure di sostegno per contrastare gli effetti di inflazione e caro bollette?
Non c’è dubbio che la politica fiscale deve aiutare a spalmare le difficoltà nel tempo, perché se c’è una cosa che le persone detestano e soffrono sono i cambiamenti bruschi e drammatici. Io credo, però, che il nostro Paese stia continuando a pagare un ritardo clamoroso, che non è certo responsabilità del Governo attuale, in termini di politica energetica. Quindi, oltre ai sostegni, occorre attuare politiche energetiche per le quali serviranno anche investimenti che daranno risultati tra qualche anno. Qui torniamo però a quanto dicevo poc’anzi a proposito del necessario intervento sulle stazioni appaltanti.
Giovedì inizierà il Consiglio europeo di Versailles. Non è escluso che si parli di strumenti per affrontare la crisi che incombe. Si può nutrire qualche speranza o dobbiamo rassegnarci al quadro che esce dalla Linee guida della Commissione?
Il documento di Bruxelles, come ho spiegato prima, è devastante, ma la Commissione europea non deve rispondere agli elettori, che invece hanno scelto i leader che devono esprimersi nel Consiglio europeo con pareri non tecnici, ma politici. Devono quindi prendere una posizione che rappresenti il benessere della collettività. Spero quindi che a Versailles non si discuta del documento della Commissione, ma si dica politicamente cos’è importante per questo continente che può esprimere dei valori di pace fondamentali per il pianeta.
(Lorenzo Torrisi)
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