Si celebrano in questi giorni a Roma gli Stati generali dell’economia. Un ciclo d’incontri, confronti e scambi d’idee voluto dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte: per condividere i progetti da presentare all’Europa e beneficiare della ricca dotazione finanziaria messa a disposizione dei piani di rilancio nazionali (dicono i benvolenti) o solo per comprare tempo (dicono i malvolenti). Comunque sia, si tratta di allineare obiettivi risorse e strumenti per far compiere all’Italia quel salto di qualità nella capacità di passare dalle parole ai fatti che ci sottragga all’imbarazzante destino dell’immobilismo puro. Dunque, occorre mettere da parte il libro dei sogni per stilare un programma concreto, misurabile, possibile. Tutto quello che è mancato negli ultimi vent’anni almeno.



Il vantaggio della presente tornata – ogni passaggio politico ha la sua fiammata di buone intenzioni – sta nel particolare non banale che questa volta le risorse ci sono. E non è cosa da poco. I fondi messi a disposizione dall’impianto comunitario – Commissione, Bei, Bce – non sono mai stati così tanti e così a buon prezzo. Un’occasione rara, resa disponibile dall’emergenza per il Covid.



Si tratta a questo punto di definire obiettivi e strumenti. Soprattutto, serve stabilire una forte coerenza tra gli uni e gli altri perché non si cada una volta di più nella trappola del velleitarismo: il volere tutto senza avere la capacità di ottenere qualcosa. Con l’aggravante di illudere e deludere una volta di più la parte migliore del Paese che nonostante tutto continua a credere nel suo riscatto.

Gli obiettivi devono essere ambiziosi, è stato detto, e su questo siamo tutti d’accordo. E dovranno essere affidati a chi sarà in grado di conseguirli nei tempi e nei modi che si renderanno necessari – tenuto conto dell’urgenza che la situazione richiede – in modo che possano sprigionare gli effetti desiderati. Saremo chiamati a un esercizio di pragmatismo come non siamo più abituati.



Gli strumenti dovranno essere all’altezza degli obiettivi dichiarati e delle risorse a disposizione. Rappresentano un elemento cruciale del sistema perché dalla loro affidabilità dipende il successo di ogni iniziativa. L’esperienza insegna che sono arrugginiti, sorpassati, malfunzionanti: che si tratti di regole o comportamenti, non sono quasi mai in grado di soddisfare le aspettative. Per questo motivo anche il proponimento più banale si risolve in un nulla di fatto. È come voler scalare l’Everest con le scarpette da mare, correre in Formula 1 con una semplice Fiat 500, saltare 6 metri con l’asta pesando 200 chili. Ci accorgiamo a occhio che siamo di fronte a un’impresa impossibile. Cogliamo al volo l’assurdo della situazione che stiamo osservando.

Lo stesso vale nel campo delle azioni di governo e della lunga filiera istituzionale. Gli strumenti a disposizione, assetto giudiziario compreso, non sono quasi mai tarati per portare a termine un compito. E per quanto il fenomeno sia chiaro ed evidente ci s’illude che l’ultima volta sarà quella buona, che dopo tanti rinvii e altrettanti fiaschi è finalmente giunto il momento buono.

Dunque, se le risorse le mette l’Unione europea attraverso le sue diverse articolazioni (superando antichi e radicati tabù) e se gli obiettivi saranno ben individuati tenendo presente che il Paese deve tornare a crescere e a sviluppare occupazione, sarà utile calibrare gli strumenti perché non vadano sprecate le prime e non si rendano irraggiungibili i secondi.

La stagione delle riforme è aperta.

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