L’errore del Governo di aver comunicato una tassazione straordinaria sugli extraprofitti delle banche è stato parzialmente corretto da un comunicato del Mef che ne attutisce l’impatto tecnico. Ma resta da riparare la fiducia degli investitori nazionali ed esteri che hanno annotato una divergenza nel Governo italiano dai requisiti della fiducia stessa. Tale riparazione dovrebbe avvenire via nuove azioni correttive da parte dell’Esecutivo entro il 10 ottobre 2023, data di conversione in legge del decreto “asset”. Chi scrive ritiene che l’Abi fornisca in prossimi incontri, e silenziosamente, i termini di riferimento utili per evitare nel futuro iniziative controproducenti per l’affidabilità del mercato finanziario italiano da parte del Governo. Ma servirà qualcosa di più, molto tecnico.
In premessa, tuttavia, sarebbe importante una presa di posizione politica: l’extraprofitto non esiste. Esiste solo il profitto, tassabile secondo regole universalmente omogenee entro una giurisdizione. Tale principio – facilmente derivabile dalle norme costituzionali – va riaffermato dopo la sua violazione inaugurata dal Governo Draghi nel 2022 che ha aperto un vaso di Pandora. Ma in parallelo va costruita e comunicata una funzione per la gestione di emergenze finanziarie, predisponendo una “riserva nazionale”. Tale riserva servirebbe a evitare prelievi improvvisi sui conti, come avvenuto nel passato, o l’emanazione, appunto, di extratasse inventando la categoria fittizia degli extraprofitti.
La necessità di una riserva nazionale dipende dalla mancanza di un vero prestatore di ultima istanza nell’Eurozona. Qualcosa c’è: il programma Tpi della Bce e l’Esm. Ma sono lontani dal livello di sostegno richiesto da una nazione in guai temporanei. Quindi un’euronazione deve coprire con risorse proprie questo gap che limita la trasmissione della fiducia. L’Italia, nello scenario a 18 mesi, è in una situazione dove l’aumento del costo del debito impegnerà troppa spesa pubblica. Il rialzo del costo del denaro, combinato con una restrizione del credito, sta producendo una tendenza recessiva che se anche non si realizzasse sul piano dei macronumeri del Pil, però metterebbe in grave difficoltà una parte rilevante delle piccole imprese e delle famiglie con mutui a tasso variabile.
Ovviamente il Governo vive con ansia questo scenario che potrebbe portare l’Italia in frizione con l’Ue e, soprattutto, trasferire consenso all’offerta politica di protezionismo sociale nelle elezioni europee del 2024. Ma dovrebbe avere più freddezza tecnica: a) istituzione della riserva nazionale potenziale come predisposizione attuativa in tempi rapidi sia di operazioni “patrimonio pubblico contro debito”, sia di “prestito irredemibile” (che non rientra nel calcolo del debito); b) concordare con l’Abi una formula incentivante per trasferire il risparmio non vincolato in prodotti finanziari vincolati a termine; c) ottenendo in cambio una demoltiplicazione del costo dei mutui variabili per le famiglie meno abbienti. I primi segnali provenienti dall’Abi indicano una tendenza a chiedere la detassazione dell’onere aggiuntivo da pagare nel 2024. Ma forse sarebbe migliore, sia per le banche sia per lo Stato, lo scambio qui indicato perché dinamizza di più il risparmio stesso.
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