Quante cose e a quale velocità stanno cambiando nell’anno della pandemia. Al punto che perfino Ignazio Visco, nell’annuale relazione della Banca d’Italia, riconosce che i tempi e i modi con cui verranno superati gli effetti economici del Covid-19 sono molto difficili da prevedere. E da affrontare, possiamo aggiungere, specie per un Paese che ha smarrito da almeno vent’anni il sentiero della crescita e fatica più di altri ad adattarsi all’accelerazione dell’economia digitale e potrebbe pagare un alto prezzo al rallentamento dell’integrazione economica e alle nuove filiere produttive destinate a separare i destini di un mondo meno globale.
Le riflessioni di Visco coincidono con la ripresa ormai esplicita della Guerra Fredda: la decisione cinese di porre in pratica fine allo statuto speciale di Hong Kong comporta la chiusura di una finestra preziosa tra i due mondi con una ricaduta rilevante, anche sul piano simbolico. Si alza una virtuale cortina di bambù tra le Borse di Occidente e Oriente, s’introduce un elemento di rottura nella filiera dei consumi di lusso, così importanti in questi anni per avvicinare gusti e tendenze, specie dei più giovani. Intanto, come dimostra il conflitto sempre più aspro sul 5G, la competizione “virtuosa” su tecnologia e commerci si tinge di un nazionalismo pericoloso culminato in un duello ad alto tasso di autolesionismo nella corsa a sviluppare il vaccino, quasi un’arma per prevalere sui nemici piuttosto che un’occasione di crescita comune.
In questo quadro l’Italia, fragile sul piano finanziario, fatica a ritrovarsi. Dopo anni passati a recriminare e a incolpare gli altri per il mancato progresso, il Paese fatica a muoversi in un nuovo scenario in cui sono saltati equilibri pluridecennali. Non esiste più, in pratica, la solidarietà atlantica che ha guidato la politica estera del dopoguerra. Spaventano intanto le sortite della Lega sul fronte russo così come i silenzi complici di Luigi Di Maio verso Pechino. Il collocamento italiano nello scacchiere internazionale, di cui si parla relativamente poco sui media, suscita non poche preoccupazioni in Europa.
Non è difficile cogliere, dietro il piano europeo di Ursula von der Leyen, l’allieva prediletta di Angela Merkel, il tentativo di non perdere l’aggancio dell’Italia all’Unione europea che, con tutti i limiti dimostrati, resta l’unico approdo non suicida del Bel Paese che pure non spreca occasioni per farsi del male, da Alitalia ad Autostrade per l’Italia con l’obiettivo sistematico di perder denari (tanto ci deve finanziare l’Europa, no?), lasciando alla ricerca e all’automazione solo le briciole. La sensazione, però, è che stavolta siamo davvero di fronte all’ultima chance oltre cui non c’è altro he la cessione di parti rilevanti di sovranità nazionale a commissari tutt’altro che benevoli.
Non a caso Visco, con il linguaggio misurato dei banchieri centrali, ci evoca scenari severi. “Nel medio periodo – ha detto il Governatore – sarà importante valutare se gli strumenti esistenti saranno in grado di salvaguardare i livelli minimi di reddito delle persone interessate dai processi di riallocazione, inclusi i lavoratori autonomi, garantendo le necessarie coperture finanziarie. Sarà inoltre importante assicurare che la forza lavoro acquisisca quelle competenze professionali la cui domanda diventerà più robusta, e che le politiche pubbliche favoriscano l’accumulazione di un adeguato capitale umano e processi di formazione continua”.
Insomma, per non disfare l’Italia ci vorranno italiani più istruiti sul posto di lavoro.