Il Governo sta discutendo il prossimo decreto, quello di aprile slittato a maggio e chiamato “rilancio”, mentre piovono, pesanti come pietre, le proteste per i ritardi del precedente decreto che s’avvia a diventare un clamoroso fallimento. La cassa integrazione non arriva (solo un lavoratore su cinque ha ricevuto quella in deroga), stando all’amministrazione centrale le regioni non inviano le richieste (persino la Regione Lombardia è finita nella lista degli inadempienti), il bonus dei 600 euro si è impantanato nell’Inps che mostra la propria inadeguatezza, i prestiti bancari vanno avanti a balzelloni. Il tempo è il fattore chiave e di tempo se ne sta perdendo davvero troppo. Colpa della burocrazia, di una macchina farraginosa, lenta e arrugginita, quello “Stato acchiappa-tutto” che dovrebbe farsi salvatore, imprenditore, innovatore, stando alle illusioni di chi vuole infilarlo nei consigli di amministrazione delle aziende private.



Giuseppe Conte ha già chiesto scusa e adesso annuncia che nel decreto rilancio ogni cosa, anche la cassa integrazione, verrà semplificata. Doveva esserlo già con la prima manovra, se la seconda serve a rimediare agli errori della prima, addio rilancio. Al di là delle pastoie burocratiche e dei pasticci organizzativi, emergono due vizi di fondo: da una parte la mancanza di una chiara rotta, dall’altra la divisione interna.



Si litiga sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, nemmeno l’accordo raggiunto a Bruxelles che riduce al minimo i tassi di interesse da pagare ed edulcora al massimo le condizioni (se ne parlerà nel 2022, beato chi ci arriva!), ha messo a tacere l’opposizione di principio dei cinquestelle, timorosi di lasciare il campo populista nelle mani di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il pragmatismo di Berlusconi forse farà da stampella, ma la maggioranza giallo-rossa è appesa davvero a un filo sottile.

Si litiga sui provvedimenti da prendere. Da quel che si capisce il Governo continuerà a procedere con sussidi assistenziali, con la logica dei bonus. Il nuovo provvedimento dovrebbe contenere un rafforzamento delle elargizioni concesse (autonomi, babysitter, spettacoli, lavori domestici) aggiungendone altre come il tax credit per le vacanze (anche se il buon senso dice che serviranno a ben poco, dopo due mesi di lockdown più che alle ferie bisognerà pensare al lavoro), un ecobonus (annunciato come super), aiuti allo spettacolo, rimborsi per i bus e via via assistendo. Il tutto resta complicato, si esporrà alle lungaggini della burocrazia e ai lamenti di chi resta fuori. Si poteva pensare a poche misure rapide ed efficaci agendo sulla leva fiscale, come molta parte del mondo del lavoro aveva proposto (per esempio lo stop all’Irap, per non parlare di un rinvio delle imposte con rateizzazione certa e leggera). Ma tant’è.



Ci sono anche alcune misure importanti come quelle sull’edilizia; anche qui, però, se si tratta di una sanatoria vecchio stampo non si va da nessuna parte. I cantieri sono fermi e bisogna farli ripartire. Si discute di un progetto più vasto che riguarda il risanamento del territorio e l’ammodernamento degli edifici, ma non sembra ci sia accordo. Il provvedimento a questo punto più urgente riguarda il capitale delle imprese. Sembra esserci consenso sulla necessità di erogare sostegni a fondo perduto, ma c’è chi ha tirato fuori il coniglio dal cappello: facciamo entrare rappresentanti del Tesoro nei cda. E di nuovo il Governo si è spaccato.

L’Assonime ha proposto di seguire il modello tedesco, creando un fondo ad hoc dotato di risorse consistenti (in Germania sono 600 miliardi di euro), il Governo può controllare dall’esterno che vadano a buon fine. Quanto alle imprese in grado di ricorrere al mercato oggi colmo di denaro liquido in cerca di impiego, più che soldi pubblici chiedono che vengano accelerate le procedure per gli aumenti di capitali. Aspettiamo i prossimi giorni per capire com’è stato risolto il contrasto interno, ma soprattutto vediamo quanto sarà consistente questo intervento. Se si tratta di pochi miliardi distribuiti con il contagocce tra una montagna di scartoffie, non servirà a nulla.

Spicca poi dalle indiscrezioni dell’ultim’ora uno stanziamento per potenziare la sanità pari a tre miliardi. Sì, avete letto bene, appena tre miliardi di euro. Ma come, non doveva essere la priorità delle priorità? Dai palazzi ministeriali dicono che si tratta soltanto di potenziare le strutture territoriali e i Covid Hospital. Soltanto? Ma non è proprio qui, nella carenza delle strutture territoriali l’origine del tracollo della sanità nelle regioni più colpite? Il Veneto dimostra che dove il territorio è stato in grado di lavorare, la pandemia è stata affrontata meglio.

Forse il Governo aspetta di utilizzare i 36 miliardi messi a disposizione dal Mes. L’accordo raggiunto prevede che gli stanziamenti servano per interventi sanitari contro il Covid-9, “diretti e indiretti”. Vuoi vedere che gli “indiretti” sono altri bonus a pioggia, dispendiosi e inefficaci? Tanto, per il momento, non ci sono ulteriori condizioni, né, tanto meno, sanzioni.

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori