La Salvinomics all’insegna del “contro-choc fiscale” ha più che virtualmente aperto il cantiere della prossima manovra finanziaria italiana, all’indomani del voto europeo e forse alla vigilia di un nuovo voto italiano. È stata presa molto sul serio anzitutto dalla Commissione uscente di Bruxelles che – nonostante la sua decadenza formale e i responsi politici delle elezioni in tutt’Europa – non ha rinunciato a inviare a Roma un pesante ultimatum sul rispetto dei parametri di Maastricht sul debito (perfino un sottosegretario al Mef nel governo Monti come Gianfranco Polillo si è interrogato sulla correttezza istituzionale della mossa di Jean-Claude Juncker e Pierre Moscovici e sui potenziali e indebiti impatti negativi sulla stabilità di un Paese-membro dell’Unione).



Il nuovo “premier italiano in pectore” ha peraltro raccolto un endorsement – cauto ma comunque inatteso – da parte del Financial Times. Il giornale dei mercati finanziari ha dato tribuna ad alcuni economisti anglosassoni interessati dalla “scossa sviluppista” accarezzata da Salvini e critici verso l’uso conservativo dei parametri Ue (in particolare sul calcolo e sull’utilizzo dell’output gap, uno specifico misuratore di velocità economica di un’Azienda-Paese).



Il nucleo della ricetta finanziaria proposta dalla Lega è in ogni caso sul tavolo e tutti i player si stanno già interrogando su contorni tecnici e praticabilità di politiche interne ed esterne, anzi: sui possibili punti di equilibrio fra strategia italiana e compatibilità europee. Come costruire una manovra espansiva che generi in Italia una ripresa reale e duratura – dopo più di un decennio di recessione – tenendo testa alle pressioni di un nuovo establishment Ue, peraltro ancora indefinito? Come caricare un bazooka da 30 miliardi di saldo mentre la (vecchia) Ue chiede già 3,5 miliardi di multa per un debito al 132% del Pil? In che termini è imitabile la (discussa) riforma fiscale di Donald Trump riedizione dell’“offertismo” reaganiano? Come declinare l’ottica della flat tax in modo non ideologico né tanto meno demagogico?



È evidente – quasi sicuramente a Salvini per primo e ai suoi consiglieri – che la manovra 2020 non potrà avere i toni e contenuti provocatori di quella presentata dal governo Conte per il 2019. Quel budget – a pochi mesi dal voto europeo – sfidò Bruxelles con un deficit al 2,4% (prodotto principalmente da una misura di puro assistenzialismo come il reddito di cittadinanza) e senza un aggiornamento neppure minimo o di facciata degli impegni taglia-debito. Un biglietto da visita – da parte della nuova maggioranza Lega-M5s di Roma – che anche una Commissione Ue indebolita e uscente ha avuto gioco facile a restituire stracciato. Qualunque Governo italiano presenterà la legge di stabilità 2020 non potrà non tenere conto di questo precedente, qualunque sia la composizione del nuovo esecutivo Ue.

Al di là di annunci, smentite e “gialli” delle ultime ore, la cancellazione del reddito di cittadinanza e della “riforma della riforma Fornero” sulle pensioni sono due ipotesi prime di lavoro all’interno di una spending review reale, non più solamente oggetto di commissioni di studio. Ma la credibilità di una manovra sviluppista – al di là dei paradossi – passerà anche per impegni di rigore fiscale, necessariamente diversi – tuttavia – dall’austerity “alla Monti” o “alla Tsipras”, care alla recente tradizione tecnocratica Ue a trazione tedesca. Un approccio che – certamente – non potrà essere quello ostentato alla vigilia del voto europeo sul Corriere della Sera dal governatore della Banca d’Olanda. Klaas Knot (candidato da alcuni alla successione di Mario Draghi alla Bce) ha ribadito che l’Italia non ha alternative al varo di una pesante patrimoniale sulla ricchezza privata delle famiglie, finalizzata a una riduzione secca di un debito pubblico giunto a 2.350 miliardi (i rumors accennano a un prelievo straordinario fra i 300 e i 500 miliardi su una ricchezza complessiva stimata in 10mila miliardi, fra immobili e asset finanziari).

È una manovra che può soddisfare i tecnocrati per definizione innamorati dei loro modelli e nemici ideologici della politica: ma – ha detto quattro giorni fa a FT Adam Tooze della Columbia University a proposito della crisi italiana – la tecnocrazia europea, nel 2019, dovrebbe ormai “evitare affermazioni prive di senso”. In questo ambito, probabilmente, rientra anche la significatività concreta dell’aumento automatico dell’Iva previsto dalle cosiddette clausole di salvaguardia, negoziate originariamente dall’ultimo Governo Berlusconi e mantenuto fino al Governo in carica. Non è escluso che a esse si debba far ricorso, ma come extrema ratio e in formule studiate attentamente “qui e ora” (ad esempio, in misure parziali e selettive rispetto alle ipotesi grezze e lineari della prima formulazione).

Questo non significa, tuttavia, che l’Italia non debba lanciare all’Europa segnali di politica finanziaria credibili, fra controllo del deficit e taglia-debito soprattutto se – come sta lasciando intendere l’ipotesi formulata da Salvini di “sospensione dei parametri di Maastricht” – Roma si accinge a chiedere all’Europa una moratoria straordinaria, che – ancora una volta – non potrà però ricalcare quella imposta quattro anni fa dall’Europa-Germania alla Grecia via Troika. L’Italia non è la Grecia e non è neppure la Spagna, il cui premier Sánchez viene ora trattato da “pari” europeo dal presidente francese Macron, ma in realtà è un “paria”, dopo il salvataggio europeo del sistema bancario iberico del 2012 (anche con l’aiuto dell’Italia).

L’Italia è d’altronde un Paese che ha ceduto forzosamente parte del suo Pil alla Germania, inadempiente a molti parametri Ue: dalla violazione dei limiti all’export extra Ue ai sostegni statali che Roma ha dovuto prestare alle sue banche e Berlino finora mai o quasi, in seguito l’applicazione sistematicamente asimmetrica delle regole dell’Unione bancaria.

L’Italia, in ogni caso, deve battere colpi importanti, anche per cancellare in fretta gli errori clamorosi – tecnici e politici – della manovra 2019. E le prime ipotesi – ricavate anche dal lungo avvicinamento all’euro fra il 1992 e il 1999 – guardano essenzialmente a due orizzonti. Il primo è il ripristino temporaneo dell’Imu sulla prima casa: a termine, non in misura piena, con una finalità “salva-Italia” (potenzialmente abbinato a un misurato appesantimento temporaneo dell’Imu sugli altri immobili, su tutti gli immobili italiani). Il secondo “tavolo” è quello delle privatizzazioni: clamorosamente ignorato da tutti i governi dell’ultimo quinquennio del centrosinistra, non meno che dal contratto di governo Lega-M5s. Già il Mef di Pier Carlo Padoan aveva aperto il dossier Poste-2 (il titolo ha appena toccato in Borsa il massimo storico, oltre il 50% in più rispetto a quello del primo collocamento di fine 2015) e impostato FS-1. Il Governo Conte, dal canto suo, sta ancora guardando alle FS statali per l’ennesimo salvataggio pubblico di Alitalia: sotto la spinta delle forze anti-sviluppiste che pretendono il reddito di cittadinanza e si oppongono alla Tav, portando così l’Azienda-Italia al centro del mirino Ue.

Se la Salvinomics pretende di non essere uno slogan, difficilmente potrà eludere decisioni importanti e chiaramente comunicate su questo terreno: dentro e fuori il Paese. Fra queste potrebbe essere incluso anche l’avvio immediato ed effettivo dell’autonomia rafforzata per Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Ma non perché “lo vuole la Lega”: perché può servire al Sistema-Paese a impiegare meglio le sue risorse nel contrasto alla recessione e alla disoccupazione.