Due segnali mediatici – molto diversi fra loro, nel fine settimana – hanno attirato gli osservatori su Intesa Sanpaolo, “campione nazionale” italiano del settore bancario. Sabato sera è filtrato che l’istruttoria aperta dall’Antitrust sull’offerta di scambio lanciata da Intesa su Ubi avrà un profilo non solo formale. L’Autorità Garante della Concorrenza – oggi presieduta da Roberto Rustichelli, magistrato napoletano designato dal Conte-1 – ha convocato anche UniCredit: principale competitor interno di Intesa. Assieme al Ceo di UniCredit Jean Pierre Mustier, si presenteranno anche Cattolica d’Assicurazioni e l’azionista-pivot (Fondazione Banca del Monte di Lombardia): due soci “resistenti” di Ubi, interpellati tuttavia in quanto soggetti interessati all’impatto sul mercato dei servizi finanziari dell’aggregazione proposta da Intesa. UniCredit, dal canto suo, non ha più alcun legame con Mediobanca, chiamato dal Ceo di Intesa, Carlo Messina, come advisor unico dell’operazione: anche nella sua importante appendice che dovrebbe portare un vasta rete di sportelli ex Ubi a Bper, oggi controllata da Unipol.
I tempi dell’Ops Intesa-Ubi – già dilatati dall’emergenza Covid – si annunciano ora ulteriormente ritardati. Tanto che in Borsa crescono gli interrogativi sulle reali prospettive di successo di un piano che forse la stessa Intesa osserva ora nella cornice radicalmente cambiata dalla pandemia. La mossa non concordata su Ubi aveva d’altronde sollevato più di un sopracciglio: non solo fra i soci della banca bergamasca; ma anche fra soggetti esterni preoccupati del rafforzamento di un polo bancario leader in Italia, tradizionalmente vicino a Pd e Iv. Il partito di maggioranza parlamentare resta M5S: marcatamente anti-nordista e anti-bancario (a riflettori quasi spenti continuano i lavori della commissione parlamentare-bis d’inchiesta sulla crisi bancaria, presieduta dalla deputata grillina Carla Ruocco).
Ieri, intanto, un editoriale del Corriere della Sera firmato dall’economista Francesco Giavazzi, ha riflettuto in modo problematico sul caso del credito da 6,3 miliardi pre-accordato dalla stessa Intesa a Fca, con richiesta di garanzia pubblica nel quadro del decreto liquidità varato per sostenere le imprese in crisi per la pandemia. Il column non è passato inosservato anzitutto per il taglio dell’analisi: che non ha eluso il cuore delle polemiche degli ultimi giorni attorno all’operazione. Fca – con capogruppo anglo-olandese fiscalmente non italiana – ricorrerebbe a un finanziamento “di liquidità” essenzialmente in vista della prevista fusione con la francese Psa, che sarebbe preceduta dalla distribuzione di un maxi-dividendo. In questo caso anche Giavazzi s’interroga sulla compatibilità fra l’esigenza di Fca e lo strumento predisposto dal Governo: e non manca di chiamare in causa la stessa Intesa, che ha accolto la richiesta.
Diverso – sottolinea l’economista – sarebbe invece il caso in cui Fca avesse bisogno di capitali per sostenere l’occupazione e l’indotto in Italia sotto la pressione del Covid, oltre ai futuri investimenti nella mobilità eco-sostenibile post-fusione Psa. In questo secondo caso, tuttavia, Giavazzi si chiede se non sarebbe più opportuno il ricorso a una distinta previsione dei decreti d’emergenza: l’ingresso della Cdp nel capitale delle imprese in crisi. L’opzione, fra l’altro, avrebbe rilievo anche nello stabilire un contrappeso italiano alla presenza dello Stato francese in Psa.
A nessuno, naturalmente, è sfuggito che l’editoriale è uscito su un quotidiano di Rcs, in cui il ruolo di Intesa è ancora importante come creditore (anche della capogruppo Cairo Communication). Né che l’analisi problematica sulle strategie di Exor compare un mese dopo che la finanziaria della famiglia Agnelli ha assunto il diretto controllo di Gedi, immediato concorrente di Rcs.