L’immobilismo del risparmio privato è un macro-dato problematico dell’emergenza economica Covid: non meno di quanto le nuove povertà e le crescenti diseguaglianze lo sono sul piano sociale. Lo ha riconosciuto in un’intervista alla Stampa anche anche Carlo Messina, amministratore delegato di IntesaSanpaolo, il più importante gruppo bancario italiano. L’indebolimento della coesione sociale e quindi della capacità di resilienza economica del sistema-Paese meritano un’attenzione almeno pari a quella riservata alla creazione delle migliori condizioni per la ripresa. E se a lanciare l’allarme sull’oggettiva “sterilità” di 1.800 miliardi di depositi bancari (un record) è il leader dei banchieri che li ha in custodia, la sua voce va ascoltata: a maggior ragione quando Messina sottolinea che una parte di quelle giacenze è detenuta dalle imprese, che in condizioni normali sarebbero invece prenditrici di credito. Ma tant’è: la sfiducia – mai ripresasi del tutto dal 2008 nel mondo e quindi dal 2011 in Italia – è sovrana: e la risposta di famiglie e imprese è tenere accumulate risorse in vista di un futuro che resta incertissimo.
È su questo sfondo – in particolare quello delle centinaia di miliardi “pronti all’uso” nei conti bancari – che galleggia tuttora, nel concitato cantiere finale della manovra 2021, l’ipotesi di tassazione straordinaria patrimoniale. Questa resta politicamente sintetizzata da un emendamento firmato dall’ex presidente del Pd, Matteo Orfini, e dal portavoce nazionale di Leu, Nicola Fratoianni, peraltro respinto dal Governo. La patrimoniale Pd-Leu ha contorni molto tradizionali (coloriture ideologiche ed elettoralistiche comprese): per tappare i buchi di un bilancio duramente colpito dalla pandemia gli italiani “ricchi” devono contribuire in misura straordinaria, sulla base delle loro ricchezze e non solo dei loro redditi. Lo devono fare “qui e ora”: per sostenere almeno per un altro anno il flusso di sussidi destinati agli italiani “poveri”. Lo devono fare per evitare il ricorso al Mes e in attesa che i rubinetti del Recovery Fund comincino ad aprirsi.
Da Pd e Leu – ma anche da M5s e in particolare dal premier Giuseppe Conte – non è sorprendente il favore (o il silenzioso “non sfavore”) per l’utilizzo della “madre di tutte le tasse”: la più redistributiva, quella che marca in modo pieno la centralità egemone dello Stato fiscale. L’ipotesi di patrimoniale è stretta parente della tendenza ri-nazionalizzatoria in atto sulle grandi aziende (da Autostrade a UniCredit) e del ruolo dominante della presidenza del Consiglio in una svolta populisticamente ri-pianificatoria dell’economia. Resta tuttavia una declinazione squisitamente politica di un’opzione non obbligata nel governo dell’economia.
Se il problema è – e lo è in misura non piccola – mettere in moto il risparmio degli italiani a favore dell’Azienda-Italia in sofferenza, la finanza pubblica di mercato è sempre un’alternativa strutturale: quando la finanza privata (a cominciare quella bancaria) non funziona e quella “iper-pubblica” si presenta incerta e pericolosa sia negli esiti economici che in quelli politici. La nuova cornice Recovery prospetta anzi una situazione peculiare: molto vicina all’introduzione dei cosiddetti “eurobond”, che rimangono non nominabili in Germania e in altri Paesi frugali dell’Ue.
Nei fatti l’Europa ha deciso di mobilitare, all’interno del suo bilancio poliennale e con la propria garanzia, centinaia di miliardi di euro (fra cui 209 destinati all’Italia per il Recovery Plan). Si tratta, per una parte importante, di finanziamenti a medio-lungo termine: che l’Italia dovrà rimborsare, ma che saranno intermediati dall’Europa. Perché – almeno in parte – non può essere il risparmio italiano a finanziare il Recovery “italiano”? In concreto: perché non immaginare la “patrimoniale” non una stangata fiscale (anzitutto come una tosatura “selvaggia” dei conti correnti come nel 1992), ma come una sottoscrizione forzosa di titoli Ue? Il rating non sarebbe quello minimo della Repubblica Italiana, ma quello altissimo dell’Ue e anche in un’epoca di “tassi zero” potrebbero essere studiati meccanismi di remunerazione minima e/o di protezione da ritorni inflazionistici non impossibili.
Meglio una patrimoniale-sequestro decisa dal Governo Conte per rifinanziare il reddito di cittadinanza e le incerte commesse del commissario Arcuri? O meglio un “prestito patrimoniale” all’Ue con l’impegno preciso – e vigilato – del Governo italiano a ricostruire il sistema sanitario, investire in digitale, education e tecnologie verdi, ri-coordinare Stato, Regioni e imprese in uno sforzo organico di ripresa?