Mentre si discute di rimodulazione dell’Iva, riforma del ticket sanitario, strumenti per la lotta all’evasione fiscale, Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, guarda ad altri dettagli che reputa più importanti della Nota di aggiornamento del Def approvata dal Governo in vista della messa a punto della Legge di bilancio.



Professore, cos’ha notato di interessante nella Nadef?

C’è un dato positivo, visto che è stata replicata l’unica cosa buona che ci aveva lasciato il Governo giallo-verde: la mancata convergenza al pareggio di bilancio nei prossimi tre anni. Nel 2022, infatti, il deficit è previsto all’1,4% del Pil. Anche questo esecutivo quindi ha detto che il Fiscal compact è morto. Ciò è importante perché vuol dire eliminare un elemento di sadomasochismo economico. Purtroppo rimangono l’immenso masochismo e la miopia sul breve periodo.



A cosa si riferisce?

In un momento in cui l’economia italiana è in stagnazione, preda del forte pessimismo del settore privato, il Governo continua a confermare, anzi rafforza, la politica fiscale restrittiva. Infatti, porta il deficit del 2020 al 2,2% del Pil dall’attuale 2,9-3%. Siamo di fronte a una manovra restrittiva con minori spese e maggiori entrate, da reperire con il contrasto all’evasione fiscale.

Ci sono molti dubbi sul fatto che sia possibile recuperare dall’evasione i 7 miliardi di euro indicati dal Governo. Lei cosa ne pensa?

In effetti, non si è visto nessun Governo recuperare 7 miliardi di euro in un anno dall’evasione. Se l’obiettivo non verrà raggiunto non vedo molte possibilità: o il deficit si alzerà e l’Europa farà finta di niente su questo mancato obiettivo o vedremo surrettiziamente introdotte maggiori tasse durante l’anno; oppure ancora, cosa che mi sembra più probabile, si ricorrerà al solito agnello sacrificale, rappresentato dalle nuove generazioni.



Cosa intende dire?

Normalmente per i giovani c’è una sola cosa importante all’interno di una manovra: gli investimenti pubblici. Si tratta dei ponti, delle infrastrutture che le vecchie generazioni regalano a quelle nuove. Quello che succederà è che molto semplicemente nel 2020 il Governo, disperatamente alla ricerca di fondi per mantenere queste idiotiche promesse di portare il deficit al 2,2% del Pil, taglierà gli stanziamenti per gli investimenti pubblici. Come del resto è già stato fatto in passato. Verrà quindi drammaticamente confermata la portata restrittiva di questa manovra, perché gli investimenti pubblici sono quelli che hanno più impatto sul Pil e che possono aumentare l’occupazione.

A proposito di Pil, secondo lei l’anno prossimo crescerà dello 0,6% come stimato dal Governo?

Io mi aspetto un dato negativo, di recessione, a meno che non veniamo salvati da un miracolo dell’economia mondiale, ma mi sembra poco probabile. Questa manovra restrittiva non può che far piacere a Salvini e a tutti i movimenti sovranisti esterni al Paese, perché finirà per fomentare una retorica anti-europea che non avrebbe ragione d’esistere se l’Europa, che è tanto colpevole quanto questo Governo, avesse consentito la cosa più ovvia da fare: lasciare il deficit al 3%, invece che portarlo al 2,2%, per fare più investimenti pubblici. Questo avrebbe portato il Pil sicuramente sopra l’1%, permettendo al deficit/Pil di diminuire poi automaticamente.

Secondo lei è un problema di mancanza di coraggio oppure della presenza nel Governo di partiti che non sono “antagonisti” dell’Europa?

La manovra conferma che M5s è ormai un partito europeo e non più rappresentativo della gente che dall’Europa è stata danneggiata. Questi partiti pro-Ue sono in realtà anti-europei. In un certo senso questo li accomuna ai sovranisti, perché perorano lo stesso esito finale: la morte dell’euro e dell’Europa. I sovranisti lo sperano e sono sadici, questi partiti sono invece masochisti. Ci sono però alcune responsabilità specifiche.

Ovvero?

Io ho parlato bene del nuovo ministro dell’Economia Gualtieri, speravo che proprio con lui, un uomo molto credibile e ascoltato in Europa, si riuscisse a mettere nero su bianco un deficit più alto. Non ho idea di quanti viaggi e telefonate abbia fatto Gualtieri, ma era estremamente importante “spostare” il Mef a Bruxelles in queste settimane e portare a casa un deficit al 3%, facendo capire all’Europa, soprattutto alla Germania, l’essenziale bisogno di una cannula d’ossigeno per il Paese, per la società italiana, così da silenziare i sovranisti.

Secondo lei sarebbe riuscito a ottenere un deficit al 3% del Pil?

Sono convinto che ce l’avrebbe fatta. C’è come al solito una responsabilità della leadership, nel senso che come ai tempi di Monti c’è stata un’apertura di credito immensa verso il nuovo esecutivo, che non è stata usata però per negoziare. Salvini ha tanti difetti, ma ha dimostrato che battere i pugni in Europa serve. Sull’immigrazione qualche impatto, che sia apprezzabile o meno, l’ex ministro dell’Interno l’ha avuto, anche se in parte è stato incassato dal Governo giallo-rosso.

La questione è solo quantitativa, cioè quanto deficit si riesce a ottenere, o anche qualitativa?

Il Governo giallo-verde ha pensato che bastasse toccare le quantità per riattivare il Paese, ma non è stato così. La quantità è condizione necessaria, ma non sufficiente. Se lasciamo il deficit al 3% non è che magicamente l’economia italiana riparte. C’è bisogno di stimolarla con la domanda pubblica di Franklin Delano Roosevelt, che può passare anche dal Green New Deal, portando quindi più occupazione e più rispetto per l’ambiente.

(Lorenzo Torrisi)