La riunione dei Capi di governo dell’Unione europea non ha prodotto il passo in avanti auspicato dalla Presidente della Commissione von der Leyen. La conferma dell’ostilità della Germania e del blocco dei paesi del nord Europa verso ogni possibilità di promuovere gli eurobond, anche nella forma sperimentale per potenziare gli interventi rivolti a contrastare l’emergenza sanitaria, accogliendo parzialmente le richieste avanzate da 9 paesi aderenti, tra i quali Italia, Francia e Spagna, rischia di aprire un fronte pericoloso per il futuro della stessa Ue.



La decisione di sospendere provvisoriamente i vincoli del Patto di stabilità è stata una scelta ragionevole per consentire ai singoli Governi dei Paesi dell’Eurozona di mobilitare le risorse necessarie per sostenere l’apparato produttivo e l’occupazione tamponando gli effetti della paralisi produttiva indotta da fattori esterni. Ma in assenza di una mobilitazione straordinaria di risorse su scala europea e per obiettivi condivisi a quel livello, questa scelta, destinata ad ampliare i livelli del debito pubblico degli stati aderenti, è destinata a radicalizzare gli squilibri interni a danno dei Paesi indebitati.



Per meglio comprendere l’affermazione vale la pena riassumere sinteticamente quanto si sta delineando nei comportamenti dei grandi attori della politica mondiale. Con approcci pragmatici, e che tendono a superare le vecchie scuole di pensiero economico, si sta verificando una convergenza di orientamenti in tre direzioni:

– immettere tramite le banche centrali una massa straordinaria di liquidità finanziaria nel sistema economico in misura superiore a quanto avvenuta nella crisi iniziata nel 2008;

– fare in modo che tali risorse, diversamente dal passato, affluiscano direttamente alle imprese e alle famiglie con strumenti di garanzia sui debiti e di sostegno ai redditi;



– potenziare le iniziative precedenti con risorse destinate agli investimenti strategici, per tutelare degli asset produttivi di interesse nazionale, anche con la rinegoziazione degli accordi commerciali in ambito internazionale.

Tali propositi, destinati a riscrivere la geopolitica e l’economia dei prossimi anni, sono evidenti nelle decisioni assunte negli Stati Uniti, nell’ambito di un programma convenuto anche con l’opposizione democratica che prevede una mobilitazione di risorse pari al 20% del Prodotto interno lordo, nelle scelte comunicate del Governo cinese volte ad accelerare gli investimenti infrastrutturali e rafforzare le aziende tecnologicamente strategiche, e nelle decisioni recentemente assunte dalla Germania di mobilitare oltre 1.000 miliardi di euro per sostenere il sistema finanziario interno e le azioni di sostegno per le imprese e l’occupazione.

Le scelte del Governo tedesco offrono una lettura diversa alle scelte operate a livello delle istituzioni dell’Ue. Che fanno perno sull’ampliamento degli interventi della Bce finalizzati ad acquistare – e a rendere sostenibile il costo degli interessi – i titoli emessi dai governi per finanziare i debiti pubblici dei Paesi aderenti, e sulla decisione assunta dalla Commissione e condivisa dai governi di sospendere i vincoli del Patto di stabilità. Il combinato disposto dei due interventi assume la una cambiale differita nel tempo per gli Stati particolarmente esposti sul versante del debito pubblico.

Un effetto analogo sarebbe prodotto con l’accesso da parte di questi Stati alle risorse del fondo Mes. Il fondo governativo finanziato dagli Stati promotori finalizzato a erogare prestiti agli stessi Stati sulla base di condizionalità rapportate alla condizione di rischio degli stati richiedenti. Una sorta di partita di giro destinata ad aumentare il debito pubblico e a condizionare le politiche degli Stati contribuenti e/debitori.

Date le limitatezze dei fondi disponibili nel bilancio dell’Unione europea, la promozione di fondi per la raccolta di risparmio, a rendimento contenuto ma garantito dalle istituzioni europee rappresenta l’unica possibilità di mobilitare risorse consistenti verso obiettivi di sviluppo economico e sociale condivisi in ambito comunitario. Diversamente l’ostilità della Germania verso tale ipotesi delinea la prospettiva di una competizione interna tra gli Stati aderenti destinata a rafforzare l’egemonia continentale delle nazioni del centro-nord europee, e il loro potere di interdizione nelle relazioni internazionali, a discapito delle Istituzioni europee.

I numeri del resto sono eloquenti: il piano predisposto dal Governo tedesco per fronteggiare la crisi mobilita oltre 1.000 miliardi in un’ottica di medio periodo, in buona parte reperibili sul mercato a costo zero. Quello del Governo italiano fatica a rastrellare poche decine di miliardi per tamponare le conseguenze del blocco della produzione per pochi mesi.

Queste scelte mettono l’Italia e un gruppo consistente di Paesi di fronte a un bivio: accettare l’evoluzione germano-centrica di una Unione europea priva di autorevolezza politica ed economica, oppure aprire un contenzioso dagli esiti incerti, ma destinato a fare chiarezza sul futuro dell’Ue.

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