Il presidente Emmanuel Macron, nella sua disperata scommessa elettorale, sta lanciando allarmi apocalittici sulla stabilità finanziaria della Francia in caso di avvento al Governo della destra lepeniana oppure del Nuovo Fronte Popolare: ma la procedura d’infrazione appena aperta dall’Ue sui conti di Parigi ha messo sotto intanto sotto processo gli ultimi sette anni del tecno-centrismo all’Eliseo. Ha acceso fari severi su un Paese che ha impostato una strategia d’insuccesso su una transizione verde ideologica e non è riuscito ad avviare una riforma delle pensioni più di un decennio dopo aver contribuito a imporla all’Italia.
A proposito di 2011 e anni seguenti: il cartellino giallo con diffida è stato puntualmente agitato da Bruxelles anche in direzione di Roma. Ma dei tredici anni trascorsi dall’estate dello spread, cinque (un’intera legislatura) hanno visto al potere il Pd, che ha partecipato poi anche alle maggioranze di unità nazionale che hanno sostenuto Mario Monti e Mario Draghi. E – soprattutto – i “dem” hanno puntellato nell’ultima legislatura anche l’esecutivo Conte 2, pilotato da M5s: responsabile – oltreché del Reddito di cittadinanza – del “Superbonus” che ha aperto una nuova voragine nei conti pubblici italiani. Al netto della surrealtà di un’infrazione aperta contro l’Italia dalla tecnocrazia acefala di un’Europa in piena crisi politica, l’ennesima pressione allarmistica da Bruxelles sembra dunque puntare il dito contro il centrosinistra “europeista” molto più che contro il Governo di centrodestra in carica, chiamato a rimettere assieme i cocci.
Mentre l’Ue si scopre improvvisamente meno riconoscibile e molto invecchiata nello specchio dei parametri di Maastricht, deficit e debito sono tornati d’attualità anche sulla sponda americana di un Occidente resuscitato in fretta e furia, che sembra essere in confusione su “deficit & debito”. Chi non mostra di cambiare idea è il Fmi: che è talmente organico all'”ordine internazionale” di stampo euramericano da aver sede a Washington. Eppure proprio dal Fondo è partito un raro ammonimento verso la Casa Bianca e il Segretariato al Tesoro: la strategia economico-finanziaria imperniata sullo sfondamento dei parametri di indebitamento federale non può piacere all’authority-osservatorio di ultima istanza delle finanze pubbliche del pianeta. E poco conta se la politica di bilancio espansiva adottata dall’Amministrazione Biden gode di un minimo di appoggio bipartizan al Congresso, anzi: il compromesso – alla vigilia delle presidenziali Usa – continua a tenere assieme “desiderata” politici diversi come il rilancio dell’intervento pubblico in economia di marca “dem” con la spesa militare supplementare a supporto di Ucraina e Israele cara ai repubblicani.
La finanza pubblica “fuori parametro” in tutto l’Occidente è responsabilità della sinistra liberal con la connivenza di tecnocrazie “partizan”, non delle destre. Cui finora non è stato consentito di sbagliare.
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