Caro direttore,
è comprensibile che il Messaggero – principale quotidiano di Roma – abbia salutato come “una medaglia d’oro alle Olimpiadi” la decisione di Euronext di accentrare presso la Cassa di Compensazione e Garanzia basata nella capitale italiana tutte le attività di “clearing” delle Borse nel network europeo (sette, tra cui Milano e Amsterdam oltre alla capofila Parigi). Borsa italiana è da pochi mesi entrata nella piattaforma francese dei mercati dopo essere uscita dal London Stock Exchange, anche su pressione del Governo italiano dopo Brexit.
Non sorprende neppure registrare l’annuncio sulla Ccg a poche settimane dall’approdo al Campidoglio del nuovo sindaco Pd Roberto Gualtieri: fino al febbraio scorso ministro dell’Economia e delle Finanze nel Governo Conte-2. Né alcun osservatore attento può ignorare come il passaggio sia maturato nel cantiere avanzato del cosiddetto “Trattato del Quirinale”: un vasto contenitore di accordi di cooperazione privilegiata fra Italia e Francia, entrambi Paesi fondatori dell’Ue.
L’iniziativa del pPesidente transalpino Emmanuel Macron risale al 2018 (con Paolo Gentiloni Premier) ed è stata rilanciata dal premier Mario Draghi. Dal punto di vista di Macron (ricandidato alla presidenza la prossima primavera) il Trattato italo-francese replicherebbe il “Trattato dell’Eliseo” che fin dal 1963 modella le relazioni dirette fra Francia e Germania nella cornice europea. Nel frattempo il Pd è guidato da Enrico Letta, appena rientrato nel Parlamento italiano dopo un lungo “esilio” a Parigi, a Science Po.
Tutto questo annotato, la Borsa italiana ha il suo cuore storico a Milano. Il mercato azionario a Roma era già marginale a metà del secolo scorso e la telematizzazione degli scambi e avviata nel 1991 – e definitivamente perfezionata nel 1997 – ha concentrato tutte le attività nella nuova Borsa Italiana Spa, privatizzata con sede a Milano. E quest’ultima è stata ben presto acquisita dal Lse: nel 2007, con Mario Draghi Governatore della Banca d’Italia. Ed è Piazza Affari (attorno alle quali hanno sede Intesa Sanpaolo, UniCredit e Banco Bpm, primi tre gruppi bancari nazionali) che ha mantenuto un cordone ombelicale con i grandi flussi delle negoziazioni finanziarie globali, a loro volta ogni giorno enormemente più complesse.
È vero che fra le molte questioni irrisolte sul tavolo dell’Azienda-Italia post-Covid vi è il “mismatching” drammatico – e peraltro storico – fra 1.800 miliardi di risparmi congelati nei conti bancari e le esigenze di ricapitalizzazione di decine di migliaia di imprese nazionali: quelle che producono Pil, occupazione, export e innovazione. Forse sarebbe un dossier rilevante per il Sindaco di Milano Beppe Sala: rieletto lui pure nell’ultima tornata amministrativa, lui pure esponente del centro-sinistra, anche se in variante “neo-verde” e non più “para-Pd”. La Borsa italiana è un’azienda della sua città: da sempre importante per la sua città oltreché per il sistema-Paese. Un sindaco con (legittime) ambizioni nazionali potrebbe riservare al “derby delle Borse” un’attenzione almeno pari a quella assegnata alle Olimpiadi invernali 2026.
Per commissioni e dibattiti sulla “Piazza finanziaria italiana” (che non è mai esistita) non sembra esserci più tempo da perdere.
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