Matteo Salvini è stato, come spesso gli accade, il più rapido nel chiamare il punto (politico) sul collocamento dei Btp Valore, chiusosi venerdì. In cinque giorni 655 mila risparmiatori individuali italiani hanno sottoscritto 18,2 miliardi di titoli a quattro anni: con un rendimento del 3,25% annuo per i primi due, aumentato al 4% nel secondo biennio con un premio-fedeltà extra dello 0,5%. “Il maggior risultato di sempre per un’operazione rivolta al pubblico”, ha confermato il Mef, guidato da Giancarlo Giorgetti. È la controprova – secondo il numero uno leghista – delle buone ragioni dell’Italia nel resistere all’adesione al Mes: il rigido meccanismo salva-Stati, pensato dall’Ue soprattutto per i Paesi ad alto debito pubblico, come l’Italia.



Non c’è dubbio che le dimensioni della risposta di una popolazione a radicata propensione al risparmio a un’offerta-rilancio di titoli pubblici rappresenti un dato in sé poco discutibile, anche se l’analisi del passaggio si presenta articolata. Il Btp Valore – come le precedenti emissioni speciali “Futura” e “Italia” (sviluppate essenzialmente dal Governo Draghi) – è il risultato di una lettura specifica della realtà italiana.



Già penalizzati da anni di “tassi zero”, la pandemia è sembrata “congelare” definitivamente il risparmio finanziario delle famiglie italiane (fino a un picco di 1.800 miliardi parcheggiati in conti bancari e postali). Neppure il rimbalzo delle Borse dopo il primo lockdown globale (una blue-chip tech come Amazon ha raddoppiato il suo valore dal marzo al dicembre 2020) ha stanato le famiglie italiane, sempre più preoccupate del futuro. E la loro resistenza prudenziale a puntare sugli investimenti di mercato è continuata anche quando – nell’ultimo anno – l’inflazione da guerra ha iniziato a intaccare seriamente il valore nominale di risparmi e capitali.



In un contesto di progressiva de-globalizzazione il Governo Draghi e ora quello Meloni si sono trovati a fare i conti con un’inflazione galoppante (in sé favorevole all’indebitamento) con tassi in rialzo per le manovre delle banche centrali: quindi, con una prospettiva di appesantimento delle condizioni di piazzamento di titoli pubblici sul mercato. La scommessa è stata dunque quella di incrociare i desiderata e i criteri di famiglie sempre più preoccupate per la protezione dei loro risparmi e nel contempo meno diffidenti sul rischio della Repubblica italiana (che ha un rating basso e costantemente sotto osservazione) rispetto ai rischi di investimenti in prodotti diversificati di risparmio gestito (azionario od obbligazionario).

Benché il rendimento offerto dal Btp Valore sia ancora meno della metà del tasso d’inflazione corrente – dunque non offra neppure copertura completa al capitale – è altamente competitivo con le proposte, non ancora generalizzate, provenienti dal mondo bancario, quasi tutte con vincoli rispetto alla sottoscrizione diretta del Btp speciali. È presto per capire se una stabilizzazione della crisi geoeconomica porterà a un raffreddamento tendenziale dell’inflazione e, quindi, a un’inversione della curva dei tassi: nel qual caso la scommessa sul Btp Valore sarebbe effettivamente vinta dei risparmiatori.

Il Governo, nel frattempo, incassa subito un’indubbia vittoria sul fronte del “rating delle famiglie” (risparmiatrici ma anche elettrici). Questo rating informale sui mercati ha certo una rilevanza molto inferiore a quella delle grandi agenzie globali; ha invece un significato non trascurabile sullo scacchiere politico-finanziario: quello – per intendersi – sul quale si stanno negoziando a livello Ue i nuovi parametri di stabilità. Quello sul quale il Governo italiano – non senza ragioni, anche in chiave di elezioni Euro 24 – sta tenendosi per ora in mano la carta-Mes per trattare un prevedibile percorso poliennale concordato con l’Ue per il rientro nel futuro quadro di parametri (un approccio politico forzante – spregiudicato – agli indizi di “autosufficienza finanziaria” italiana potrebbe perfino spingersi a negare l’indispensabilità integrale dei fondi Pnrr).

In una riflessione di per sé sommaria possono essere ricompresi altri due appunti. Il primo riguarda l’atteggiamento del sistema bancario italiano: finora non minacciato dal deflusso di depositi verso i Nuovi Btp, ma altresì solido – finora – anche per i propri equilibri di liquidità. Per ora le banche italiane mostrano di ignorare le prime sollecitazioni a riconoscere rendimenti sui depositi, preferendo insistere sull’offerta di polizze e fondi comuni. È una partita comunque aperta.

Sul versante macro, il positivo test interno italiano si segnala allorché uno molto più impegnativo se ne annuncia negli Usa: dove l’Amministrazione Biden ha duramente negoziato con l’opposizione repubblicana un tetto più alto per l’indebitamento nell’anno delle presidenziali. Premesso che la manovra “dem” alzerà ulteriormente i tassi dei Treasury (invece il Mef italiano ha giocato in tempo reale sul primo rialzo dei tassi di mercato), è evidente come perfino una Casa Bianca “di centrosinistra” in questa fase escluda l’opzione di raccogliere risorse finanziarie per via fiscale: anche laddove la tassazione sulle imprese e sugli alti redditi/patrimoni sia relativamente bassa dopo la riforma fiscale varata da Donald Trump nel 2018.

L'”austerity”, sulle due sponde dell’Occidente atlantico, la stanno già portando l’inflazione e i nuovi muri al commercio internazionale. Non è tempo di tassazioni straordinarie: meglio mobilitare i quattrini dei cittadini attraverso “prestiti di guerra”.

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