Il caso è in sé di cronaca locale e si presta a essere facilmente liquidato come “interferenza della politica nel mercato”. Tuttavia lo stop imposto dalla Lega al progetto di fusione fra Agsm-Aim (il nuovo polo-multiutility del Veneto occidentale) e la lombarda A2A sembra meritare qualche riflessione in più.



Venerdì il cda di Agsm – controllata dal Comune di Verona – ha fallito il voto decisivo per il sì al progetto di aggregazione con A2A: un “passo doppio” collegato con la fusione con Aim, la multiutility “cugina” di Vicenza. Il presidente (tecnico) di Agsm Daniele Finocchiaro è stato messo in minoranza dal vicepresidente Mirco Caliari (esponente di Verona Domani, formazione fiancheggiatrice della Lega) e da Francesca Vanzo (Lega), mentre la consigliera Sefania Sartori, espressa dall’opposizione di centrosinistra in Comune, non ha partecipato al voto: rendendo inutile la presenza (favorevole ad A2A) di Enrico De Santis, diretto referente del sindaco Federico Sboarina (indipendente di centrodestra, vicino a Fdi, in carica dal 2017).  Oggi il cda di Agsm è riconvocato, ma all’ordine del giorno, salvo improbabili colpi di scena, vi sarà solo il via libera alla fusione “veneta” con Aim: verso cui la Lega non ha mai avuto contrarietà.



Le motivazioni tecniche della rottura – il presunto mancato rispetto di alcuni standard legali nella trattativa con A2A – nascondono a fatica la crisi politica: che sembra ora minacciare la stessa stabilità della giunta Sboarina e che sarebbe d’altronde riduttivo circoscrivere a Verona. Fra 80 giorni nel Veneto sono in calendario le elezioni regionali: la consultazione forse più attesa – assieme al referendum nazionale sul taglio dei parlamentari – nel ritorno della democrazia del voto dopo la tempesta-coronavirus. 

Non è un mistero che il super-governatore Luca Zaia punti a una riconferma (scontata, in probabili termini plebiscitari) attraverso una complessa operazione di chiarimento politico: di respiro non solo regionale.  Il chiarimento prevede anzitutto lo sganciamento di Fdi, cui Zaia ha già chiesto (con tono quasi provocatorio) un impegno formale a sottoscrivere la richiesta di autonomia rafforzata: un’istanza approvata tre anni fa in un referendum regionale dal 57% dei veneti con diritto di voto. Verona è il banco di prova annunciato di questa verifica: Fdi ha un peso relativamente più alto, senza dimenticare che nel capoluogo scaligero è ancora importante l’influenza di Flavio Tosi, l’ex sindaco leghista poi protagonista di una violenta dissidenza contro la Lega di Zaia e di Matteo Salvini. Non da ultimo, Verona è storicamente contrapposta al Veneto orientale (Padova-Venezia-Treviso), cuore della “Zaialand”. Un “luogo politico”, quest’ultimo, già indicato come possibile incubatore di una “Lega 3.0”  (moderata e governativa) dopo quelle di Umberto Bossi e Salvini.



Lo stop plateale dei leghisti veronesi all’asse fra Agsm-Aim e A2A – nel giugno 2020 – non può non essere osservato anche, forse soprattutto in questa prospettiva. Perché consegnare – ora – un’infrastruttura strategica di “Zaialand” alla “resistenza Pd” in Lombardia (nel Nord Italia)? A2A è tuttora controllata dai Comuni di Milano e Brescia, che sarebbero rimasti egemoni anche dopo  la progettata aggregazione di Agsm-Aim:  ipotesi andata in accelerazione, infatti, dopo la “mossa del cavallo” di Tosi verso l’allora Pd renziano. E a conferma di come e quanto “la politica interferisca con il mercato” senza distinzione di colore, A2A ha appena rinnovato i suoi vertici, in pieno “lockdown”. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, e quello di Brescia, Emilio De Bono, non hanno avuto esitazioni a indicare – per una multiutility formalmente lombarda – un ticket di autentici “boiardi” romani: alla presidenza Marco Patuano, ex Ceo di Tim, parcheggiato poi a Edizione Hoding, holding “prodiana” della famiglia Benetton; e come Ad Renato Mazzoncini, ex Ceo di Fs, designato dal Governo Renzi. 

Non era evidentemente il momento politico giusto per costruire la super-utility “padana”. Però mai dire mai: chissà cosa accadrà se Il prossimo primo cittadino di Milano, nella primavera 2021, fosse un esponente de centrodestra. Nel frattempo sui “media” è già filtrata un’indiscrezione: per Agsm-Aim sarebbe emerso anche l’interesse di Hera, “l’A2A dell’Emilia Romagna”. Controllata da amministrazioni del centrosinistra, ma diverso da quello lombardi: il “post Pd” di Stefano Bonaccini. Che non ha avuto remore a fare tandem con Zaia nel sollecitare al governo un sostegno straordinario alla rete delle fiere del “grande Nordest”: con Bologna in asse con Venezia, non con Milan