Il Copasir offre copertura al Governo sul segreto di Stato riguardo le armi inviate all’Ucraina, ma è molto trasparente nell’esprimere dubbi e insoddisfazioni sulle posture assunte da Enel ed Eni, i due colossi energetici di cui lo Stato resta azionista di riferimento, nella fase iniziale della crisi geopolitica. Il comitato parlamentare di controllo sui servizi di intelligence lamenta “scelte discutibili che non possono trovare giustificazione facendo leva su argomenti che richiamano l’autonomia delle imprese o le logiche di mercato.



Si è di fronte ad aziende di natura strategica che – proprio per la diretta partecipazione da parte dello Stato – sono vincolate a doveri più stringenti, soprattutto in una fase complessa come quella che si sta vivendo”. Se la presa di posizione di un soggetto istituzionale molto particolare nell’architettura democratica ha un merito è quello di squadernare un “dossier” strutturale di un passaggio senza precedenti (rimarcando fra l’altro la crescente discutibilità costituzionale degli “omissis” sugli aiuti militari a Kiev).



Dunque: al Ceo di Enel (in scadenza di mandato, come quello di Eni, Claudio Descalzi) viene rimproverata la partecipazione a una videoconferenza con Vladimir Putin – assieme ad altri amministratori delegati italiani –  poco prima dello showdown ucraino. A creare qualche imbarazzo specifico è stato anche il fatto che il fratello di Francesco Starace – Giorgio – è l’Ambasciatore in carica a Mosca e ha promosso il meeting di inizio 2022. Ma ancora una volta la questione – depurata dalla polvere politico-mediatica – si pone a una lettura principale: l’Ambasciatore ha fatto il suo lavoro (alle dipendenze del ministero degli Esteri, retto da Luigi Di Maio all’interno dell’esecutivo Draghi); e l’amministratore delegato di un grande player energetico europeo – a capitale diffuso in Borsa fra grandi investitori internazionali – ha fatto il suo: intrattenere rapporti al massimo livello con uno dei grandi esportatori di gas naturale in Italia. Prima che quest’ultimo aggredisse l’Ucraina: e quando già invece il prezzo del gas era pericolosamente decollato sul mercato. Senza che dal governo (in particolare dal ministro della Transizione energetica) giungesse il minimo segnale di attenzione allarmata.



Il Ceo di Eni sarebbe invece oggetto di qualche malumore politico per aver espresso riserve (comprensibili) sulla prospettiva che il Governo decida prelievi fiscali straordinari sui profitti: una sorta di extra-dividendo di fatto sottratto dall’azionista-Stato agli azionisti privati, con effetto collaterale depressivo sul titolo (idem per Enel).  Un’estensione del “golden power” – per ora limitato al veto al passaggio di proprietà – che ha già registrato passi indietro rispetto alla stagione delle privatizzazioni, ormai consolidata da più di un ventennio. Per una specie di contrappasso il Premier in carica è  stato – come direttore generale del Tesoro negli anni ’90 – il grande stratega delle dismissioni pubbliche.

Ora è evidente che l’emergenza epocale della “guerra del gas” preme con forza su due giganti energetici come Eni ed Enel: che tuttavia non sono più “partecipazioni statali” come prima del 1992, esattamente come il loro mercato è stato ampiamente liberalizzato ed è aperto alla concorrenza europea. Senza dimenticare che fino a qualche mese fa il Governo italiano e la Commissione Ue avevano indirizzato la politica energetica verso la transizione green. L’Italia e l’Ue si ritrovano sulle soglie di un’economia di guerra e aziende come Eni ed Enel sono spinte a ridiventare “d’interesse patriottico”: ma non può deciderlo il Copasir. Deve invece deciderlo nelle forme e nei contenuti più opportuni la governance di un Paese e di un continente che sta assumendo orientamenti politici di estremo impegno affermando di voler difendere il proprio modello politico-economico liberaldemocratico contro quello della “democratura” russa.

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