Un titolo in evidenza  sul Mattino di Napoli  (“Il caso Fondazioni bancarie, il 95% dei fondi va al Nord”) ha avvisato i naviganti del settore che nella maggioranza giallorossa è stato aperto un dossier sugli Enti dell’Acri. Già molto prima dell’emergenza Covid, il confronto post-estivo è stato momento di riflessione sul tema: nel 2001 fu la Legge di stabilità a veicolare il più importante tentativo di “controriformare” le Fondazioni; allora da parte del centrodestra, ancora fresco di vittoria elettorale.



Diciannove anni fa fu principalmente la Lega Nord di Umberto Bossi a premere – all’interno della maggioranza del Berlusconi-2 – per portare sotto sostanziale controllo statale le Fondazioni partorite dalla riforma bancaria Amato-Carli del 1990 e quindi definitivamente modellate dalla legge Ciampi del 1999 come enti autonomi del “privato sociale” (oggi Terzo settore).



L’offensiva della Lega (elettoralmente pesante al Nord, anche se tutt’altro che egemone) era legata al fatto che già allora la rete delle Fondazioni era concentrata nell’Italia settentrionale, ma i loro vertici erano ancora di larga estrazione di centrosinistra. Questo avveniva grazie a meccanismi di governance mutuati dalle vecchie Casse di risparmio. Il gioco delle designazioni incrociate di una pluralità di enti locali (Regioni, Comuni, Province, Camere di commercio, università, ecc.) continuava a penalizzare la Lega anche nelle Fondazioni dove aveva conquistato posizioni importanti nei consigli.



Le opzioni della Lega (solo tiepidamente appoggiate da Forza Italia) furono comunque evidenti: rispostare il peso di governance sugli locali rispetto alla “società civile” (cui la riforma Ciampi aveva assegnato ruolo paritario) e ricentralizzare in via sostanziale la vigilanza del Tesoro sulle Fondazioni. L’obiettivo finale era acquisire “via Roma” influenze sulle partecipazioni-chiave detenute dalle Fondazioni settentrionali nelle grandi banche nazionali con sede al Nord  (Intesa, UniCredit, SanpaoloImi); sui loro pingui patrimoni pre-2008 e sugli ingenti flussi di erogazioni sui territori (fino a 2 miliardi all’anno).

Il tentativo della Lega bossiana (che a livello nazionale allora non valeva più del 4%) fallì. Dopo una lunga fase di contenzioso giudiziario-amministrativo condotto dall’Acri  – accompagnato da una vasta e articolata mobilitazione sociopolitica – la Corte costituzionale respinse definitivamente l’ipotesi che lo Stato potesse gestire direttamente le Fondazioni, così com’era avvenuto a lungo in passato che le grandi banche pubbliche fossero amministrate da vertici designati dalla maggioranza di governo (via Cicr).

Nella nuova polemica all’orizzonte contro le Fondazioni torna certamente visibile lo squilibrio Nord-Sud. Le Fondazioni – enucleate come azioniste di controllo delle banche ex pubbliche trasformate in Spa – erano già deboli nel Mezzogiorno alla loro nascita. Sono poi pressoché sparite – con l’unica eccezione dell’Ente Banco di Sardegna – assieme ai gruppi creditizi andati in dissesto e incorporati nei grandi poli del Nord.

Il sistema-Fondazioni reale si arresta oggi ai confini di Toscana, Umbria e Marche. Fra i 18 enti classificati dall’Acri come “grandi” su un’ottantina, 16 sono entro questo Centronord: controllano i tre quarti di un patrimonio aggregato vicino ai 40 miliardi e generano oltre il 90% di 1,1 miliardi di erogazioni. Fra le prime cinque Fondazioni, due sono in Piemonte, due in Lombardia, due in Veneto (fra queste vi sono le principali “azioniste di presidio italiano” di Intesa Sanpaolo-Ubi e UniCredit). Non da ultimo: ancora in questo network di grandi enti settentrionali vi sono i detentori delle quote principali di quel 16% della Cassa depositi e prestiti non controllato dal Tesoro.

L’unico momento di limitato riequilibrio è – dal 2006 – la Fondazione per il Sud: patrimonializzata pro-quota dalle grandi Fondazioni. A essa si affianca la “fiscalità interna” dell’Acri cui da anni affluiscono – su base nominalmente volontaria – porzioni dei monti-erogazioni annui delle singole Fondazioni a finanziare progetti nazionali, come ad esempio quello per il contrasto alla povertà educativa.

Non sorprende, dunque, che da una maggioranza di governo imperniata su M5S e fortemente radicata nel Sud giungano nella crisi post-Covid segnali di crescente insoddisfazione e di più marcata volontà di intervento sulle Fondazioni. Patrimoni e flussi erogativi del sistema-Fondazioni restano oggettivamente dislocati al Nord, così come è fra Torino, Milano, Cuneo, Verona, Padova, Bologna, Firenze, Cuneo, Modena, Parma, Trento, Bolzano, Lucca che sono tuttora disseminate le leve di influenza sulle grandi banche (compresa BancoBpm) e sulla Cdp.

Sul piano politico è una rete che – dietro la formale indipendenza statutaria degli Enti e un esteso avvento di tecnici ai vertici – poggia su articolati equilibri locali fra Lega e un vasto fronte di forze di centro e sinistra, fino a un certo punto “targabili”. Non è un caso che il plenipotenziario della Lega sul versante Fondazioni sia Giancarlo Giorgetti, mentre il Pd di riferimento per la Fondazione Cariplo è assai più il sindaco di Milano Beppe Sala, che il vertice romano del partito.

È su questo sfondo che sembra riprendere forza la polemica sul “Sud defraudato dal Nord” a suo tempo accesa dallo stesso ministro per il Mezzogiorno, il dem Giuseppe Provenzano. E lo schema di gioco – se la partita si disputerà davvero – si presenta complesso anche per la presenza al Tesoro di un ex quadro del Pci romano come Roberto Gualtieri: schiettamente statalista nell’approccio di politica economica e tendenzialmente ostile verso ogni Nord “ricco”, leghista o no. Ma non ci vorrà molto per capire quanto i poteri forti “gialli” e “rossi” del Conte-2 vogliano e possano sferrare una nuova offensiva contro le Fondazioni, veri o presunti baricentri dei poteri bancari del Nord.